Armageddon in ebraico significa il monte della distruzione. Il giudizio universale dell’onnipotente sull’umanità, ma questa volta Dio non c’entra niente. Ancora una volta il rally è finito nel tritacarne di un business che vuole la Formula 1 regina indiscussa di un palcoscenico abbastanza grande per contenere tutti.
Motorshow 2007: ci vado più per routine che per interesse. In fin dei conti potremmo chiamarlo “sexyshow”. La donna che prevale sulla macchina. La “non passione” che prevale sulla “passione”. C’è un aria
di motori che non profuma di benzolo, ma in un piccolo spicchio dell’esposizione trova spazio la gara, che poi tanto “gara” non è, dedicata ad Attilio Bettega: rallysta deceduto al volante del mostro gruppo B chiamato Lancia 037. Un ricordo forte: nudo e crudo, mischiato alla memoria di un’altra “leggenda”: Colin McRae, quello che in un epoca di abbondanza riusciva a far innomorare i tifosi di se soltanto coi controsterzi. Nello stesso giorno, molto distante da Bologna, sul palcoscenico di Webley, per un giorno anfiteatro dei motori e non di calcio, trova spazio lei: la Subaru con cui Colin raggiunse successi più o meno insperati. Ci penso, non posso non farlo: perché correre, in fin dei conti è la metafora della vita stessa. Il rally lo è ancor di più, perché la vita, come una prova speciale, la si affronta vivendo nell’incognita di quello che si può incontrare: nulla è scontato, nulla è ovvio, nulla e facile e già collaudato. Qui bisogna avere coraggio, lo stesso di quando si affronta un tornante in freno a mano con burrone all’esterno o un dosso in sesta piena. Giù l’acceleratore: per dimenticare e lasciarsi alle spalle le altre incognite. Colin McRae era uno che aveva capito che la vita la si affronta di traverso, uno degli ultimi discendenti di una stirpe d’oro millenaria. Per ultimo, dopo altri “grandi”: parlo di Toivonen e Bettega. Loro due, perché in fin dei conti sono quelli che danno il nome ai trofei in palio alla Roc e al Motorshow. Attori di uno stesso palcoscenico, che vede “l’uomo di traverso” nel suo attimo perfetto: in cui spazio e tempo si annullano, alla ricerca di un limite il cui oltre sarebbe pura follia. Ripenso alla distruzione, concedetemi il termine, di una serie “fantastica”. Iniziata dall’ormai lontano 1987, quando un tal Jean Marie Balestre procurò la prima ferita. I “mostri” dovettero farsi da parte. Una scelta da discutere, ma in fin dei conti sopportabile per i veri highlander della prestazione assoluta. C’era di mezzo una sicurezza che mai come in quel maledetto 1986 era diventata sottile e fragile come un bicchiere di cristallo. Via dalle scatole i gruppo B: una manovra decisa da un uomo che mille ne fece al mondo delle corse (dio benedica Piquet per quello che gli fece sul podio dopo una gara di Formula 1). Ciò non era abbastanza, l’armageddon doveva proseguire. Eravamo soltanto al primo squillo di tromba. Passarono gli anni, il rally sembrava tornare a livelli di interesse vertiginosi: vi erano McRae, Makinen, Kankkunen, Burns e Sainz a moltiplicare la passione dividendosi gli allori. Un palcoscenico che rischiava di rendere la commedia della Formula 1 adatta al lancio degli ortaggi. Per sfasciare il carrozzone occorreva eliminare gli elementi più interessanti, prendendo a cuore quella scusante chiamata sicurezza che in fin dei conti è sempre il velo buono dietro al quale nascondersi, in uno sport che con la morale non dovrebbe centrare pressoché niente. Al bando le speciali notturne: la sottile linea di demarcazione tra i temerari e i ragionieri. Fuori dalle scatole le speciali “vere”: lunghe, faticose e strazianti. Ora c’era spazio soltanto per giretti attorno il giardino di casa o, se tanto, nei pressi dell’isolato. E così squillò la sesta tromba, mentre l’agonia della specialità rally proseguiva tra alti e bassi, ritrovando un interesse quasi dimenticato nell’annata 2007, quando due extraterrestri si contenderono il titolo fino all’ultima gara. Ma ecco il settimo squillo: riecheggiò nella valle in un giorno di inizio dicembre. Tanti saluti Montecarlo, Svezia, Finlandia, Francia e Gran Bretagna. Posti d’altri tempi, anfiteatri di battaglie epiche, di gesta di uomini straordinari. Ora, per concederci la possibilità di gustarci speciali su quelle strade che alternarono grandi gioie e cocenti sconfitte un po’ per tutti, non basterà aspettare l’arrivo dell’anno seguente. C’est le…business…e noi appassionati: soltanto quegli idioti che anche se veniamo maltrattati non riusciremo mai a spegnere la nostra malattia. Un pò come drogati che senza cocaina si accontentano pure del zucchero a velo.
Giacomo Sgarbossa
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