Quando un propulsore molto potente, come quello di una vettura di Formula 1, è in azione, la sua efficienza viene ridotta proporzionalmente ad un coefficiente, detto efficienza termica, che rappresenta la dissipazione di una quota di potenza prodotta che viene trasformata in calore a causa di attriti interni tra i vari organi in movimento.
Questa perdita, oltre ad essere un fattore negativo per quanto riguarda il rendimento globale del motore, provoca anche problemi di riscaldamento del propulsore stesso, il quale subisce aumenti di temperatura anche parecchio considerevoli. E’ stato approssimativamente stimato che circa il 70% della potenza prodotta da un motore di Formula 1 viene dispersa a causa di questi attriti, quindi se un motore rende disponibili circa 700 kW di potenza significa che all’incirca ne ha prodotti globalmente circa 2300 kW, di cui 1600 kW sono andati dispersi. Ma come viene dissipato tutto questo calore? Una piccola parte, circa il 7-8%, viene dissipata dall’olio utilizzato per la lubrificazione (in funzione della potenza erogata e della velocità media di ogni singolo giro), un 10% circa dall’apparato di raffreddamento ad acqua (funzione della potenza erogata durante tutta la gara), una quota abbastanza considerevole, stimata attorno al 35-40%, viene dissipata tramite i fumi di scarico ed il resto, approssimativamente il 40-50%, provoca un aumento della temperatura del motore e rappresenta una delle maggiori problematiche da affrontare durante una gara. Gli apparati di raffreddamento utilizzati per dissipare questo calore sono i radiatori, degli scambiatori di calore metallici estremamente efficienti. L’efficienza di questi apparati dipende dall’area utile allo scambio termico che hanno e dalla portata di aria che riescono a trattare. La superficie di scambio viene aumentata introducendo dei profili alettati, ossia costituiti da numerose alette di basso spessore che, a parità di volume occupato, aumentano l’area esposta al flusso di aria. La portata d’aria che raggiunge i radiatori dipende molto dalla velocità che questa raggiunge all’interno dei condotti che la convogliano, tipicamente pari al 10-15% della velocità della vettura. Il problema del raffreddamento della vettura incontra delle ulteriori difficoltà legate all’assetto aerodinamico utilizzato, il quale varia da circuito a circuito. Poiché il passaggio dell’aria attraverso i radiatori implica una perdita di efficienza aerodinamica, dovuta al fatto che l’aria non passa su superfici appositamente studiate per essere efficienti, come alettoni ed appendici, occorre trovare il giusto compromesso tra efficienza aerodinamica ed efficienza di raffreddamento per ogni circuito. Si stima che passando da una configurazione a basso raffreddamento ad una ad elevato raffreddamento si perda circa mezzo secondo al giro nelle piste a medio/elevato carico e poco meno nelle piste a basso carico. Per tale motivo, i circuiti di raffreddamento ad acqua vengono pressurizzati, ossia viene aumentata la pressione di esercizio a 3-4 bar, in funzione del circuito, al fine di innalzare la temperatura di ebollizione dell’acqua di 20-25°C e scongiurare così la possibilità di formazione di vapore, che ha una capacità di asportare calore molto inferiore rispetto a quella del liquido. Pressurizzare i circuiti di raffreddamento permette così di ridurre le superfici dei radiatori e quindi di non penalizzare eccessivamente l’efficienza aerodinamica globale della vettura. Proprio per massimizzare lo scambio termico minimizzando le perdite di efficienza aerodinamica, tutte le scuderie preparano ogni anno numerose soluzioni in grado di funzionare al meglio al variare delle piste e che siano in grado anche di potersi adattare bene alle varie condizioni climatiche che si possono incontrare durante una gara.
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