«Gilles mi mancherà per due motivi. Primo, lui era il pilota più veloce della storia delle corse automobilistiche. Secondo, lui era l’uomo più genuino che abbia mai conosciuto. Ma lui non se n’è andato. La memoria di quello che ha fatto sarà sempre qui»
Jody Scheckter
Gerard Ducarouge – ” Abbiamo perso un amico,un pilota dal talento fuori dal comune,un ragazzo entusiasta che possedeva qualità che noi francesi definiamo la joie de vivre. Penso che non verrà mai dimenticato.”
Michele Alboreto – “Sono troppo triste per esprimere un’ opinione. E’ la prima volta da quando corro che mi accade di perdere un collega, un amico, è terribile, terribile..”
Eddie Cheveer jr – “Si tratta della più grossa perdita che l’automobilismo di F1 potesse avere. Villeneuve era un pilota superbo, sempre al limite, che dava il massimo di se stesso sempre. Forse qualche volta andava anche oltre il limite. Di certo era l’immagine di quello che dovrebbe essere un pilota… Sono arrivato fra i primi sul luogo dell’incidente e la cosa mi ha sconvolto oltre ogni limite.”
Gilles credeva che solo vincendo si potesse divenire eroi… Almeno fu questo il significato delle parole che rivolse all’amico Jody , questi all’apice della sua gloria, sul gradino più alto del podio di Monza, quel gradino che gli aveva permesso di elevarsi nell’olimpo degli immortali della F1. Guardava dall’alto della sua posizione la folla festeggiante nel delirio “rosso”, con la fiera consapevolezza di essere appena entrato nella storia. Gilles la guardava da più in basso in quel momento, accanto al sudafricano, ma nella storia c’è entrato anche lui. Dalle scarne e vuote statistiche non si evincerebbe la veridicità di una simile affermazione, ma se solo si presti attenzione a quel che provano i cuori dei tifosi non appena si accenni al suo nome, bè , non si potrebbe dire altrettanto. Tifosi. Non solo italiani, non necessariamente della Ferrari. Semplicemente appassionati di questo sport, tanto di quegli anni quanto di adesso.
Alex Zanardi nel suo libro autobiografico dice a proposito della sua gara in rimonta dall’ultima posizione a Long Beach nel 1998 in F.Cart – “Gli americani sono molto legati alla loro bandiera e alla loro patria. Tuttavia in quei giri conclusivi incitavano solo un pilota a superare l’altro, non c’erano più lo statunitense Herta in testa e l’italiano Zanardi alle sue spalle, c’era un pubblico che voleva assistere fino in fondo ad uno spettacolo, voleva vedere il compimento della favola”. Non importava la nazionalità, le divisioni particolaristiche del tifo per un determinato team o pilota. Il talento di Gilles superava ogni angusta barriera. Non potevi e non puoi tutt’ ora non simpatizzare ancora oggi per questo uomo. In alcuni è vera e propria venerazione.
Gilles , nel suo piccolo , diceva che comunque fosse stato l’esito di una corsa, non avrebbe potuto biasimare se stesso per non aver gareggiato al massimo delle sue possibilità. Perchè correva con il cuore. Gilles amava il senso della velocità, conosceva il senso della vita, l’orizzonte di senso fondante ogni valore . Ogni pilota sa quali sono i suoi limiti e i rischi in pista che possono scaturire dai propri o altrui errori di calcolo. All’uomo riesce difficile comprendere il “sollen” della morte, il suo intimo significato aprioristico. Neanche Gilles lo poteva accettare. L’uomo che va alla ricerca della massima velocità possibile non è nelle vesti di comprenderlo.
Non vinse che sei gare. Eppure chiunque pensi a lui non può fare a meno di associare al suo nome l’appellativo di “campione”. Sbaglia chi crede che l’immortalità sia solo una prospettiva metafisica inerente al credo religioso, qualunque indistintamente, senza eccezioni. Potremmo chiamarla “immortalità laica” senza forzature di significato. Riposa , a fronte dell’oblio del tempo, nell’animo delle persone.
La morte non ha scalfito il suo ricordo, la sua immagine non ne è stata corrotta, ma i tratti indelebili di essa ne sono stati potenziati. Chissà se negli ultimi istanti della sua esistenza, cosi’ fragile perchè sempre al limite, abbia avuto l’intuizione se non la piena cognizione , per un attimo soltanto, che la vita raggiunga la sua pienezza attraverso la coscienza di questo dover-essere ineluttabile.
Il Canada era la sua patria e nel circuito di casa Gilles trionfò al primo anno in Ferrari. “Ile de Notre -Dame” ha voluto rendergli omaggio; il circuito di Montreal porta ora il suo nome. Nel piccolo cimitero di Berthierville, una cittadina del Quebec, dove non nacque ma crebbe, una lapide ricorda il pilota canadese, le ceneri vi furono riportate a Montecarlo dalla moglie Joann.
“Tutto scorre e nulla rimane. Tutto è mutevole e soggetto al divenire universale del tempo” soleva dire Eraclito, ed è un insegnamento che ci è stato tramandato nel corso dei secoli a dispetto del contenuto di questa massima. Dal 1982 sono cambiate tante cose. Molte. La dimensione del tempo non ci appartiene, noi apparteniamo ad essa. Un’amara considerazione: i tre che salirono sul podio di Imola 1982 oggi non ci sono più. Eppure non è passato troppo tempo da allora. La memoria conserva il ricordo di ciò che è stato. E trae la forza di continuare ad esistere fino a quando viene alimentata. Proprio come il mito di Gilles.
E’ forse leggenda un episodio singolare che ci è stato tramandato, secondo il quale Enzo Ferrari, il patron della “Rossa”, ordinò che tutte le 126 C2 ancora esistenti venissero distrutte per sempre, cosi’ come se volesse in tal modo liberarsi e purificarsi dai sensi di colpa di averle fatte venire al mondo. Forse c’è un qualche fondo di verità. Tutte le leggende ne hanno uno. Un atto per cancellare l’infamia e la consapevolezza di mal sopportare l’idea che un progetto si fosse rivelato fallimentare umanamente parlando? O un profondo e veritiero pentimento, omaggio alla memoria del prediletto, il pilota verso il quale aveva un vero senso di ammirazione? Lui l’ unico , tra tutti gli “eletti” chiamati a correre per la scuderia, a poter contare sulla sua illimitata fiducia. Di Enzo Ferrari , della sua personalità, tutto si può dire, pareri alquanto discordanti e antitetici si fronteggiano accanitamente. Cercare di analizzare un personaggio di tale levatura e spessore è forse troppo arduo. Persona schiva, di certo autoritaria, acre , scontrosa, testarda , orgogliosa, anche fin troppo, e ciò nonostante, le persone che egli aveva accanto, le invitava a farsi scoprire intimamente, al chè potessero comprendere le più naturali e autentiche passioni che portavano , di volta in volta, quest’uomo ad agire. Ma si badi bene di non confondere l’ ‘agire’ personale da quello che possiamo qualificare, forse con un termine erroneo, ‘pubblico’. Noi conosciamo solo l’Enzo Ferrari che non amava dare di sè quell’impressione troppo paternalistica che qualcuno, con termini meno diplomatici, potrebbe forse dire ‘non scrupolosa eticamente quanto invece il contrario, avida e arrivista’. Molti utilizzerebbero un’ espressione di machiavellistica memoria – ‘il fine giustifica i mezzi’. Si dice gli stesse a cuore più la macchina che il pilota. Semplice valore affettivo certo, d’altronde era la “sua” scuderia, un marchio a cui aveva dato vita convogliando assieme la passione ed il senso del lavoro, quello che con tanti sforzi era riuscito a far divenire un’ icona mondiale del “made in Italy”. Al Drake l’Italia intera è grata, affermando ciò con anche una punta di retorica trita e ritrita ma mai banale, e la Ferrari è sempre stato un motivo d’orgoglio per noi nati nel “Bel Paese”. Anche se è pur sempre un luogo comune, associare l’Italia all’estero alla Ferrari, o alla pizza , agli spaghetti e quant’altro ci sia di positivo o di negativo..
Con Gilles, si è detto c’era un rapporto speciale. Chissà che cosa spinse Ferrari a stracciare letteralmente il contratto appena sottoscritto con un certo Eddie Cheveer, un giovane yankee trapiantato in Italia che nel lontano 1978 ancora non aveva troppa nomea, e a mettere sotto paga, senza pensarci due volte, appena se era presentata l’occasione, un canadese semi-sconosciuto che aveva debuttato l’anno precedente in un
quasi anonimo gp a Silverstone. E che nelle sue uniche due gare corse con la 312T2 aveva portato a casa due ritiri, e provocato altrettante morti…Forse le stesse speranze che a suo tempo aveva riposto in colui che si sarebbe rivelato in seguito un freddo ed estremamente razionale calcolatore, un vincente, ed all’opposto, all’epoca dell’approdo a Maranello, recante su di sè come un’ ombra indelebile l’appellativo di pilota “poco esperto” dimostratosi dal carattere non ancora convincente ? Di certo è che i due di cui stiamo parlando erano agli antipodi, per concezione, per modo di vivere, di intendere l’essere pilota.
Al giorno d’oggi ha fatto notizia il fatto che un tedesco di Kerpen , un certo Micheal Schumacher, detentore dei più insigni records che la Formula Uno moderna ricordi dai giorni dei suoi albori, abbia annunciato il suo ritiro. E’ calato il sipario sulla carriera del teutonico. Si spegnerà ben presto l’eco delle sue gesta? E’ una domanda controversa, ma non troppo retorica, a cui non c’è risposta unanime perchè attorno a questo personaggio non è mai stato suscitato, nè forse accadrà mai, un consenso su cui convergano pareri non discordi. Alcuni gli rimproverano di non essersi fatto amare troppo. I suoi connazionali e gli italiani , stampa e tifosi, per ovvi motivi lo accettano cosi’ come è stato. O perlomeno la gran parte di essi. Altre volte e spesso, le critiche di molti, tra cui quelle di alcuni suoi colleghi in pista, lo hanno assalito, ma ne è rimasto indenne ed indifferente, non demoralizzato ma ancora di più motivato. Paradossalmente la carriera del teutonico in F1, può essere suddivisa in due grandi filoni, seppur decidere delle delimitazioni si riveli sempre un qualcosa di avulso e astratto. Un’età della maturazione e dell’ istinto e , di converso, un’età della maturità, della freddezza calcolatrice. Si può concludere sia stato un Villeneuve e un Lauda allo stesso tempo. Nella prima epoca è prevalso il “gene Gilles”: gare all’attacco,velocità grinta,una volontà di andare oltre i propri limiti, e quelli della vettura a disposizione, che talvolta si è trasformata in foga inconcludente, in errori grossolani. Una seconda in cui ,magistralmente ha saputo affinare le sue doti e coniugare le qualità dei due campioni.
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“E’ guerra, guerra nella maniera più assoluta” – Gilles Villeneuve.
“Pironi ha sottovalutato l’invito al senso di responsabilità rivolto dai box ai piloti con il cartello costantemente esposto dal quarantacinquesimo giro. Comprendo il legittimo disappunto di Villeneuve e ho condiviso le sue preoccupazioni per i rischi affrontati. “ Enzo Ferrari
Questi i primi pensieri del canadese al termine della gara di Imola. E forse erano gli stessi che lo tormentavano nei suoi ultimi istanti di vita a Zolder, prima e durante quel giro di qualificazione. Lo aveva definito “tradimento” ciò che era successo nel gp in terra italica. Credeva che fra loro due ci fosse un qualche rapporto di amicizia e lealtà. Gli eventi di Imola furono un equivoco. Non lo comprese . Neanche i tifosi
perdonarono Didier quando non si presentò per sua propria volontà al funerale. Destino.
Joann la moglie di Gilles disse di guardarsi le spalle dal francese. Dopotutto erano si , amici fuori e dentro il paddock. Ma in pista, è pura competizione una volta abbassate le visiere. Senso senso femminile? Gilles provò la consistenza delle parole della moglie, e con esse mise anche alla prova il carattere del francese. Mancano sei giri alla fine, Gilles vuole un arrivo trionfale in parata delle due rosse. Le Ferrari girano quasi appaiate, ma Didier nel penultimo giro dopo aver tamponato per due volte il canadese, lo costringe ad andare fuori traiettoria sull’erba superandolo. Ignora la segnalazione box “Slow”, di cui ancora oggi ne è controverso il significato. Vince. Villeneuve stenta a credere a quello che sta accadendo. “Tutte le volte che io ero davanti, giravo in 1’37″5, 1’37″8. Quando lui è passato abbiamo girato in 1’35″5.” e “Con una staccata al limite mi ha passato e mi ha chiuso alla Tosa, rischiando di far eliminare entrambe le Ferrari. Poi, non contento, ha anticipato la frenata di 50 metri e quasi lo tamponavo. L’ho passato, poi si è fatto tanto sotto che quasi mi tamponava.
Pironi si giustificò dicendo che rallentare poteva risultare pericoloso se si fosse voluto preservare le pale delle turbine che avrebbero continuato a girare forte nonostante le basse velocità. “Ecco perché ho sì rallentato, ma non troppo.” – disse – “Anche Gilles sa che il cartello “SLOW” vuol dire solo usare la testa, e io credo di averlo fatto.”
Sarebbe,comunque pura follia affermare, anzi anche pensare o credere, che l’incrinazione dei loro rapporti fosse stata la causa principale di ciò che accadde a Zolder. Semmai una determinante occasionale che agi’ in maniera contingente sull’animo del canadese quel giorno, misto ad altri pensieri. Che vi fossero sentimenti
contrastanti, questo è piuttosto lampante, che vi fossero pensieri legati alla sua vita personale meno; che poi la Ferrari 126C2 fosse alquanto pericolosa è infine un dato di fatto. Non possiamo scavare, discernere, giudicare i sentimenti, le emozioni che hanno accompagnato Gilles quel sabato. Tutti noi dall’esterno e a distanza di anni non abbiamo questa pretesa, consci che la soggettività umana è qualcosa di relativo e di remoto, che non possiamo arrivare a comprendere in maniera univoca. Le cause sono piuttosto oggettive e vanno ricercate altrove..
“Non puoi nel corso della tua carriera rimandare sempre ad un domani per vincere” GillesVilleneuve
Mancano meno di otto minuti al termine della seconda sessione di qualifiche. A Zolder non si parlano nonostante l’ing Forghieri abbia tentato di farli riappacificare. Nell’ultima ora, all’undicesimo passaggio, Pironi fa segnare un tempo più veloce di centoventi millesimi di secondo rispetto a quello di Villeneuve, 1’16” 620. Il canadese aspetta venti minuti ai box prima di ripartire, ma quando decide di farlo dopo aver percorso la pitlane ed essersi immesso nel circuito, le gomme si scaldano e sembrano essere già al limite. Ha un’unica convinzione: fare meglio del francese. Il suo orgoglio non avrebbe mentito il suo stato d’animo… Una vettura di soccorso entra in pista procedendo molto celermente nella zona della variante retrostante ai box. E’ successo qualcosa, si sparge al voce. Però non si bene ancora cosa. Forse un incidente, uno di quelli gravi. L’altoparlante comunica che una vettura è ferma alla curva “Terlamen”. Da questo momento si inizia a delineare meglio il quadro della situazione e le comunicazioni si fanno più fitte. La serietà dell’accaduto sembra essere confermata. Si comprende solo in seguito che si tratta della vettura n.27. Viene esposta la bandiera nera e le vetture cessano di girare sul tracciato. Inizia la corsa di giornalisti, fotografi e pubblico verso la curva della fatalità, una salita e poi una successiva discesa immette direttamente nel curvone in questione. Segni di gomme sull’asfalto, di vernice rossa, solchi sul prato ai lati della pista, buchi profondi nel terreno causati dai successivi ribaltamenti della vettura, parti della 126c2 sparsi qua e là. In fondo un ammasso di rottami parcheggiata a centro pista, e a pochi metri da questa ,a bordo pista, la March quasi integra di Mass….
… Davanti c’è la bianca vettura di Mass più lenta di circa cinque secondi,nel suo giro di rientro ai box. Il tedesco si accorge ,grazie agli specchietti, che Gilles lo sta seguendo a poco più di trenta metri. Affrontano una curva veloce a sinistra da percorrere solitamente in quarta o in quinta marcia. Jochen per non far perdere tempo prezioso al canadese che stava tentando il suo giro veloce si sposta sulla destra cosi’ da farlo passare, la Ferrari invece tenta il sorpasso proprio sullo stesso lato. Con la ruota anteriore sinistra Villeneuve tocca la posteriore di Mass. “Un giorno, in una curva nel bosco, una Ferrari prese il volo e il suo pilota vide il cielo venirgli incontro. Un attimo, e la traiettoria terrena era finita. Un altro attimo, e cominciava quella celeste.” (“Gilles Vivo” M. Sabbatini). La macchina compie due looping completi per un totale di venticinque metri di volo, e sfiora il guard-rail, il tutto fa presagire il peggio, ma nè la macchina è eccessivamente danneggiata, nè il pilota è in condizioni irreparabili. Ma non è finita. Il looping successivo sulla terra , circa mezzo metro prima dell’asfalto della curva a destra complica irrimediabilmente la faccenda. In questo preciso istante Villeneuve viene catapultato fuori dalla macchina, le cinture si staccano dalla monoscocca, il suo volo guardandolo ,ancor oggi a distanza di anni, è terrificante. Atterra malamente con la spalla destra sulla terra friabile , la sua testa si scontra contro un sostegno della rete di protezione, si ha l’impressione che la spina dorsale abbia avuto la peggio. Perde il casco. E’ il momento maggiormente critico: subisce l’ematoma al cervelletto e la rottura delle vertebre cervicali. La sua vettura senza il pilota a bordo prosegue il suo calvario: i continui ribaltamenti producono un ennesimo volo di quattro metri circa, e alleggia pericolosamente sopra la March che nel frattempo rallenta. Jochen inizia ad acquisire la consapevolezza di quanto sta accadendo vicino a lui. Le scarpe di Gilles vengono ritrovate a duecento metri dal luogo dell’incidente,il suo casco a cento metri, il volante a centottanta.
La tragedia si è compiuta con il concorso di molte cause. La foga di Gilles che ha portato ad una incomprensione con Jochen che girava più lento davanti prima su tutte. Poi le gomme. I piloti avevano a disposizione per le qualifiche , quell’anno, due treni di pneumatici. La miscela era tale che potevano durare per due giri , in tutto quattro, se si tiene in conto anche dei giri lanciati. Ecco il perchè delle frequenti uscite di pista dei piloti nel tentativo di fare un giro decente. La degradazione della gomma non avrebbe permesso una perfetta aderenza necessaria per far segnare il tempo veloce sul cronometro. La velocità dei motori turbo rispetto a quelle degli aspirati. Le cinture di sicurezza della 126c2. La Fisa apri’ un inchiesta a riguardo indagando sulle condizioni della vettura numero 27. A causa dell’impatto i sei punti di attacco delle cinghie di sicurezza furono strappati via, lo stesso dicasi per il divisorio fra l’abitacolo e il motore. La cellula di sicurezza però non era in condizioni pessime, i pezzi staccati furono rimessi al loro originario posto e si potè notare come combaciassero perfettamente. Se il pilota si fosse trovato all’interno non avrebbe lamentato danni irreparabili per lo schiacciamento, però c’è da dire anche che a 250 km/h le sollecitazioni create con tale velocità erano difficili all’epoca da limitare e il collo era soggetto ad uno sforzo fisico notevole al di là di ogni sopportazione umana e naturale. Lo scollamento dell’ordinata di divisione tra abitacolo e motori fece saltare sia i due bulloni di fianco al pilota, quelli che tengono le cinte laterali, che quello che passa in mezzo alle gambe del pilota. E’ per questo che Villeneuve è stato sbalzato dalla sua auto durante i ripetuti loops, fino ad atterrare sull’altro lato della pista con cinture e seggiolino attaccati alla schiena.
In meno di un minuto arrivano i soccorsi. Prima dagli stessi piloti, poi quelli medici. Si tenta una respirazione artificiale e il massaggio cardiaco, in seguito viene trasportato al centro di rianimazione del circuito dove gli elicotteri sono pronti per trasferirlo nell’ospedale che dia le maggiori garanzie. Vengono avvisati , tra gli altri, Enzo Ferrari, Jody Scheckter e la famiglia del canadese. La moglie e i figli non lo avevano seguito in quel week-end di gara, perchè la domenica si sarebbe dovuta celebrare la cresima di Melania. Verso le 14.30 viene deciso il trasporto all’ospedale universitario di Leuven. Le condizioni dell’ematoma sono sempre più gravi, Gilles diventa viola in viso. Viene rilasciato verso le tre e mezza del pomeriggio un primo parziale bollettino medico. Perdita di conoscenza, ferite al collo e al cervelletto: le sue funzioni vitali sono altamente precarie e l’unico sostentamento è rappresentato da cure intensive. Tutti sono scoraggiati e anche il medico canadese Bertrand , specialista di ortopedia del cervello non può che confermare la diagnosi dei colleghi belgi. Poco prima della cinque di sera iene data a Gilles l’estrema unzione, che si salvi ,oramai, appare sempre più un miracolo. E nel caso in cui sopravviva, il suo corpo sarà paralizzato. Passa un’altra ora e giungono in ospedale i famigliari e gli amici più intimi. Jody è operato all’ernia al disco, non può muoversi, al capezzale del canadese, vicino a Joanna c’è la moglie Pamela.
Ore 21,12. Il secondo comunicato dell’ospedale recita mestamente: “Gilles Villeneuve è morto alle 21,12”, seguono le firme dei primari sul bollettino medico. I suoi funerali vengono celebrati a spese dello Stato del Quebec.
“Mi sono fermato sul luogo dell’incidente e sono subito corso da Gilles per aiutarlo. Nonostante il panico , vista la gravità dell’incidente il mio sguardo si è fermato una attimo sulla macchina. Era completamente distrutta, irriconoscibile. Sono rimasto attonito. Non osavo pensare alle sue condizioni. Mi sono girato per cercarlo e ho visto il suo corpo accartocciato sulle reti di protezione. Il suo casco non c’era più. Il suo viso era blu. Watson era con me e abbiamo cercato di dargli i primi soccorsi. L’ambulanza è arrivata poco dopo. Dire che eravamo tesi è dir poco mentre stavano cercando di rianimarlo. E lo stesso dicasi per i soccorritori qualificati. Non avevano la benchè minima idea ,se e in che modo, si potesse riuscire a salvarlo. E’ stato un momento terribile, la prima volta che ho visto morire qualcuno sotto i miei occhi in tal modo. La sera quando era stato reso ufficiale il suo decesso non mi sono meravigliato . Avevo ancora l’immagine di lui agonizzante impressa nella mente”. Questo grossomodo, quanto dirà Warwick in una intervista anni dopo. Quando Pironi arriva sul luogo dell’incidente , sconcertato viene portato via accompagnato da Jochen (Mass ndr). Non parteciperà alla gara in segno di lutto . L’incidente lasciò un sentimento di vuoto nel paddock e due piazzole libere in griglia. In un intervista televisiva domandarono a Didier se avrebbe rifatto il sorpasso a Gilles nel G.P. di Imola del 1982. Con gli occhi tristi malinconici , abbassò la testa e con una fioca voce ,a stento per l’emozione ma non per le sue reali convinzioni, disse di no. Un no pieno di dolore e pentimento . Anche lui era tormentato da quel sorpasso. Al G.P. di Hockenheim,dodicesima prova della stagione, durante le prove ufficiale sotto una pioggia incessante nonostante l’estate , Didier ,in testa alla classifica piloti fino a quel momento e molto probabilmente campione a fine anno, scorge in ritardo la Renault di Prost e i suoi riflessi pronti, non gli permettono però di evitare l’impatto. Non correrà mai più in F1. Per uno strano destino, nonostante il grave incidente in cui si era potuto ritenere un miracolato, e nonostante l’età ancora giovane, troverà la morte in gara di off-shore nell’agosto del 1987. Non vedrà mai venire alla luce i suoi due figli: anche per lui i soccorsi si rivelarono invani. La moglie decise che Gilles e Didier sarebbero stati anche i loro nomi di battesimo. Ci piace pensare a loro due, amici come una volta, riappacificati lassu’…
Molti avevano storto il naso quando venne annunciato Patrick Tambay come pilota ufficiale della Ferrari a partire dall’appuntamento a Zandvoort. Correva ancora l’anno 1982. La morte di Gilles aveva scosso l’ambiente , lo stesso Ferrari commosso aveva sentito il dovere di ringraziare il canadese per le sue qualità umane. Pironi aveva corso da solo a Monaco, a Detroit e a Montreal. Quell’anno ci lasciò anche Riccardo Paletti. In Quebec , a Montreal. Tambay era stato uno degli amici più sinceri del canadese. Aveva preso la decisione di mollare tutto dopo quel giorno di Maggio. Tutti gli avevano assicurato che Gilles sarebbe stato felice se un giorno avesse corso al posto suo con il numero ventisette, e che sarebbe stato forse, l’unico ad avere questo privilegio.
Un pilota non molto veloce,senza grinta.. Imola l’anno successivo alla morte di Gilles. Dopo essere scattato dalla terza piazza in griglia di partenza ,cosi’ come l’Aviatore un anno prima, guida autorevolmente al comando e trionfa alla fine della gara meritatamente. Tambay portava sul suo muso il numero ventisette. E’ uno di quei giorni in cui verrebbe spontaneo dire che esiste un disegno divino…
Elio De Angelis – “Descrivere cosa ho dentro è tanto difficile. Villeneuve era un grande
pilota. Dava sempre il massimo… Era un pilota di una valutazione superiore, il classico
talento naturale.”
Niki Lauda – “..Con Gilles ho perso un amico, una persona che stimavo. A mio avviso era
il più bravo perchè ha sempre cercato di andare al massimo delle sue straordinarie
possibilità. Era un grande professionista..”
Ancor oggi Gilles Villeneuve è osannato come soltanto pochi eletti della F1 lo sono stati. Fans da tutto il mondo giungono quasi in pellegrinaggio nella sua casa a Bertherville in Quebec, per vedere la statua di bronzo a grandezza naturale che reca l’epitaffio “Gilles Villeneuve 1950-1982. Addio Gilles” e che fanno la fila per visitare
il museo a lui dedicato, in cui si possono trovare numerosi memorabilia dalla sua vita in pista e anche privata. Scritte in suo onore come “Gilles per sempre” o “Gilles vive ancora” le si possono appaiono sui cartelloni dei tifosi a Imola , dove la Curva che porta il suo nome commemora la scena di uno dei suoi più pirotecnici incidenti. Personalità carismatica, della sincerità e modestia ne faceva i punti di forza del suo carattere. Anche quando arrivò d’un colpo la fama. Sempre sicuro delle sue azioni , determinato,serio ,introverso ma allo stesso tempo irriverente, e affabile con gli amici, molto attaccato al senso della famiglia.
La leggenda di Villeneuve porta con sè molti dei elementi tipici di una vicenda tragica, per il fatto di avere protagonista un giovane ragazzo di umili origini che realizza il suo sogno di gloria e ricchezza consegnando se stesso alla volontà della sorte e alla passione per i motori, e che alla fine si ritrova egli stesso vittima di quel fato che di sua sponte ha inseguito e cercato prima, raggiunto poi. Una vita vissuta al limite al volante di una Ferrari che gli ha concesso onori, la benevolenza dei tifosi ma anche la morte. Ed è proprio grazie alle sue eccelse capacità fuori dall’ordinaria amministrazione e a quel suo coraggio misto a spericolatezza, al suo innato talento nel portare al limite il suo mezzo e la pura passione ,che si è potuto realizzare più di una volta un evento a cui pochi campioni ci hanno abituato, quello di una completa simbiosi psicologica delle emozioni provate nell’assistere ad una delle sue indimenticabili prestazioni in pista.
Lo splendido e funambolico stile di approccio alla guida catturò l’immaginazione di chi lo vedeva in azione e tutto ciò saltava all’occhio subito, e fu cosi’ che iniziò ad eccellere sotto questa visuale rispetto a qualunque altro protagonista in pista. La predisposizione, l’eleganza, lo stile, lo spirito di combattimento , la spudorata fin troppo ovvia destrezza e il rischio nell’osare manovre fin troppo difficili, la capacità di rendere spettacolari anche quelle con un minor rischio di margine di errore, tutto questo serviva ad enfatizzare una non meno celata battaglia titanica contro la “Velocità” che è l’essenza pura a priori della competizione motoristica. C’erano fondamentalmente tre ragioni alla base della sua fin troppo esplicita elementare, quasi primitiva capacità di regalare emozioni alla guida di una monoposto. Sentiva ardentemente la volontà di dimostrare di possedere , prima che agli altri a sè stesso,la qualità prima alla base dell’ “essere pilota”, mancando questa, tutto non sarebbe stato possibile, la competitività, le motivazioni. In una parola gli stimoli. Se volessimo fare un paragone, potremmo dimostrare come l’esistenza stessa, o meglio di soggetto e sostrato, in termini di essenza ed esistenza in se per sè, sia la qualità principe, con ovvia doppia valenza semantica, senza la quale le altre che connotano ontologicamente l’ uomo , non potrebbero esistere nè sussistere. Una prima causa incausata in pratica . Ma qui sconfiniamo in un altro campo che non ci pertiene. Voleva dimostrare il suo valore ovunque e contro chiunque, in ogni giro, anche in prova, in ogni circuito, e pensava che il miglior modo fosse pretendere dalla sua Ferrari prestazioni sempre al limite. Sentiva l’obbligo di ricambiare i tifosi dell’affetto in questa maniera, la più ovvia per un pilota. Sapeva che in loro poteva rispecchiarsi per l’amore che essi provavano e riponevano nella F1. E lo spettacolo visivo concesso non era dunque da meno. Ma il fattore “estetica” non era tutto. Era un cultore della velocità pura, affermava sempre di voler “portare al limite” ogni mezzo gli venisse sotto le mani che avesse un motore. Raggiungere il fatidico limite e cercare di prolungare il più possibile questo istante nel caso reputasse di averlo carpito. Che “istante” era destinato a non essere più tale. L’alto tasso del rischio, la soddisfazione piena
esperita nella consapevolezza di aver saputo pretendere ed ottenere il controllo sul suo mezzo. La suspence. Questa era tutta la sua vita.
Sono passati venticsei anni da allora. E mi è sembrato giusto volerlo ricordare con questo ritratto commemorativo. Con queste parole. E cosi’ come era iniziato, con la semplice ma evocativa l’elegia funebre pronunciata da Jody Scheckter avrebbe la modesta pretesa di terminare. O meglio, con il suo incipit :
«Gilles mi mancherà per due motivi…»
Perchè due validi motivi li avrete senz’altro anche voi.
Ed ora i momenti dei ringraziamenti :
– Autosprint 19 Maggio1982 “Gilles è volato via” dai cui articoli “Quel corpo lassù” di Giancarlo Cevenini e “Una bandiera nera e poi..” di Mario Simoni ho desunto la dinamica dell’incidente di Zolder
Autosprint 19 Maggio1982 “Gilles è volato via” le citazioni di G.Decourage,M. Alboreto,E. Cheever,E. De Angelis,N. Lauda, E.Ferrari
– Motorsport Aprile Speciale per l’anniversario dei 25 anni dalla scomparsa di Gilles ho tradotto liberamente l’intervista a Warwick a pag 61
MN
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nel 1982 non ero ancora nata, e solo circa 15 anni dopo avrei iniziato a seguire la Formula Uno, ma piu che altro per sperare che un compaesano potesse arrivare a punti.
Ma i primi racconti dei miei genitori, e il modellino della Ferrari 27, mi portano a conoscere un personaggio che tutti amavano, uno spericolato, ma con un sorriso semplice, che riusciva a duellare per giri interi e correre con una ruota di meno.
E mi portano a leggere ‘la cometa Gilles’, a guardare le foto di Gil all’aeroporto di Istrana (ok, si vede solo un puntino rosso, ma per i miei quella foto dice tutto), a leggere Rombo di qualche giorno dopo la morte.
Ho letto tanto di Gilles, ho guardato video, foto, ovviamente non ho potuto vivere la ‘febbre Villeneuve’, ma Gil resta qualcosa che mi porto dentro, forse per quel sorriso, forse la semplicità e la grinta che pochi sono in grado di regalare.