13 maggio 1956, Gran Premio di Monaco.
Diciotto auto iscritte, quattordici sulla griglia: le BRM di Hawthorn e Collins sono fuori per insuperabili problemi di messa a punto del motore, stessa sorte per la Maserati della Scuderia Centro Sud affidata a Louis Chiron, mentre Giorgio Scarlatti non si qualifica con una vecchia Ferrari di sua proprietà.
E’ la seconda gara della stagione, nella prima, disputata in Argentina quasi quattro mesi prima Juan Manuel Fangio, tre volte Campione del Mondo, ha diviso la vittoria con il compagno di squadra Musso che è costretto a cedergli la macchina dopo una ventina di giri quando alla Ferrari di Fangio cede la pompa della benzina.
Secondo e terzo, ripetivamente, si erano piazzati Behra e Hawthorn con le Maserati 250F e non erano mancate grandi polemiche per una spinta galeotta al campione argentino dopo un testa coda.
In virtù di questo risultato leader del Mondiale, che dopo il ritiro della Mercedes sembra una questione fra Maserati e Ferrari, é Jean Behra con sei punti, davanti a Fangio con cinque e Musso con quattro.
A Monaco é attesa anche la riscossa di Stirling Moss, sfortunato in Argentina e di Castellotti.
Nelle prove i valori sono confermati Fangio ottiene la “pole” e divide la prima fila con Moss, e Castellotti, quarto Behra, solo ottavo Musso.
Juan Manuel Fangio é il re di Montecarlo, vi aveva trionfato nel ’50 con un “coup de chapeau” (“pole”, giro più veloce e vittoria) nella prima edizione valida per il Mondiale, poi, l ‘anno prima, dopo quattro anni d’interruzione del Gran Premio monegasco, aveva fatto nuovamente al “pole” e dominato per metà gara, con una guida al limite della perfezione, fino a quando non era stato tradito dalla rottura di un semiasse.
Sfortuna.
Stavolta il pronostico é per lui e per lui solo, per l’infallibile Fangio che sulla sua condotta di gara perfetta, sulla sua guida senza errori e sbavature ha costruito vittorie e leggenda.
Quando si abbassa la bandiera ecco la prima sorpresa: Fangio esita, Moss lo sorprende e va in testa, l’asso argentino si difende da Castellotti ed é secondo, quarto Behra.
Al secondo passaggio accade l’incredibile: a Sainte Devote, dove il circuito sfiora il sagrato della chiesa, Fangio commette un errore da principiante e la sua Ferrari parte in testacoda.
Quando l’auto impazzita si ferma ha il muso rivolto dalla parte sbagliata, Castellotti e Behra sono costretti quasi a fermarsi per evitarlo, Musso e Schell che arrivano dietro di loro finiscono nelle balle di paglia e fuori gara; Peter Collins, il suo giovane compagno di squadra inglese, ne approfitta e salta in seconda posizione.
Fangio ora è quinto, dietro Moss, Collins, Castellotti e Behra e si lancia all’inseguimento, ma é irriconoscibile, impreciso, affannato.
Dopo il ritiro di Castellotti, cui cede il cambio, si porta sotto a Behra e lo sorpassa nel corso del diciannovesimo giro, poi Collins lo lascia passare perché possa inseguire Moss che ha un buon vantaggio, ma che deve ancora compiere oltre due terzi di gara.
Non sembra la giornata di Fangio, però.
Anzi per vero dire non sembra neppure Fangio, infatti quando forza l’inseguimento si scompone, non è sicuro, le traiettorie non si ricopiano fedelmente giro dopo giro e poco prima del quarantesimo passaggio il maestro compie la seconda “betise”: arriva alla chicane dopo il tunnel troppo veloce e urta un muretto danneggiando la sua Ferrari.
A questo punto arriva il “coup de theatre”.
La macchina non sembra aver subito danni gravi, ma Fangio conclude il giro, infila la corsia dei box e scende dalla monoposto, danneggiata, ma ancora efficiente, sulla quale, dopo un momento di titubanza salta Castellotti.
Fangio, si sfila i guanti, il caschetto e gli occhiali, poi si siede sul muretto dei box, silenzioso. I meccanici di Maranello non hanno mai visto niente di simile: “Ferrari” – pensano – “gli leverà la pelle”.
Il Direttore Sportivo della Ferrari, Eraldo Sculati, lo guarda sorpreso, s’interroga sul da farsi, poi si avvicina a Fangio: – “Devo fermare Collins ?” – gli chiede.
Silenzio.
Il maestro é concentrato, non parla e sembra non ascoltare, la corsa sembra non interessargli più, anche la moglie Beba, che gli ha subito porto un piccolo asciugamano ed una bottiglia d’acqua minerale resta a distanza.
Collins é sempre secondo ma perde progressivamente su Moss, Sculati sembra non saper come comportarsi, “Ferrari” – pensano i meccanici – “leverà la pelle anche a lui”.
Dopo qualche minuto di silenzio ed immobilità assoluti, quasi ascetici, Fangio si rimette caschetto ed occhiali e fa cenno che é pronto a ripartire.
Sculati ferma Collins che gli cede la sua Ferrari e Fangio riparte all’inseguimento, ma Moss ha 45″ di vantaggio e siamo oltre metà gara.
Basta poco per capire che ora però è tornato il maestro: preciso, velocissimo, glaciale. Behra, che aveva approfittato della fermata di Collins per conquistare il secondo posto, non ha scampo.
Fangio si avvicina, lo raggiunge e infine lo sorpassa dopo una decina di giri perfetti, una decina di giri “alla Fangio”.
Il sorpasso, poi, è un autentico capolavoro, una precisione chirurgica.
Decisamente fra il Fangio visto nei primi giri e quello che ha preso il posto di Peter Collins, c’é un abisso.
Il “maestro” ora é implacabile, la sua Ferrari accarezza i muretti del principato, le traiettorie hanno perso ogni spigolosità, ad ogni passaggio guadagna terreno su chi lo precede e su chi l’insegue, presto Behra esce dai suoi specchietti.
Il pubblico assiepato sul bordo del circuito di Montecarlo s’infiamma.
Fra il pasticcione di prima e il freddissimo campione di adesso ci sono quei dieci minuti di distacco dal mondo, quegli occhi piccoli e gelidi che fissano un punto lontano, quel silenzio senza domande e risposte. Fangio fermo sul muretto dei box, con gli occhiali, i guanti ed il caschetto appoggiati lontano e la macchina ceduta a Castellotti.
Sembrava una resa senza condizioni, invece era una pausa presa per ritrovare concentrazione, per tornare ad essere “il maestro”.
Intanto Moss paga qualcosa alla sfortuna, quando deve doppiare Perdisa, l’italiano é senza freni, i due si “toccano” e alla Maserati 250 F dell’inglese si rompe un fermaglio del cofano motore che da quel momento in poi in alcuni punti del circuito tende a sollevarsi, costringendolo ad una guida prudente.
Fangio al contrario é scatenato: arriva a guadagnare fino a due secondi a giro, ma non basterà: all’abbassarsi della bandiera a scacchi l’asso argentino finisce a sei soli secondi da Moss, un giro davanti a Behra. Quarto viene classificato Castellotti, a sei giri da Fangio.
“Per la prima metà é stata la mia gara peggiore, per l’altra metà una delle migliori”- racconterà anni dopo Fangio – “Nei primi giri infilai uno dopo l’altro gli errori più sciocchi della mia carriera, commisi delle stupidaggini e le pagai a buon prezzo. Se devo dire la verità la dea bendata quella domenica si ricordò del vecchio Juan Manuel come e più di altre volte, altrimenti non avrei mai finito quella corsa.”
Parola del “maestro”.
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