Emilio Materassi, grande e dimenticato

materassi Emilio Materassi, grande e dimenticato

Il prossimo 9 settembre cadrà l’ottantesimo anniversario della scomparsa, in un tragico incidente accaduto durante il Gran Premio d’Italia a Monza, di Emilio Materassi, forse uno dei campioni del volante più sottovalutati e uno dei personaggi più affascinanti di un’epoca che avrebbe lanciato verso la leggenda, come pilota, il mantovano Tazio Nuvolari e, come proprietario di Scuderia, nientemeno che Enzo Ferrari. Emilio Materassi al momento della sua morte era entrambe le cose: un pilota eccellente ed un ambizioso proprietario di Scuderia con l’obiettivo di diventare presto un costruttore di auto da corsa. Il destino, e la fortuna mai troppo amica del campione toscano, avrebbero deciso altrimenti fermando la sua vicenda di di pilota e di futuro uomo d’affari all’uscita della curva parabolica sul circuito di Monza. Emilio Materassi era nato a Borgo San Lorenzo, nel Mugello, non lontano da dove ora sorge l’omonimo autodromo internazionale, il primo novembre 1894. In un periodo dove i campioni dell’automobilismo sono rappresentati delle famiglie più in vista, Emilio é di origini semplici: il padre, Francesco, ha una bottega nella piazza del paese, un suo zio é sacerdote. La passione della velocità, tuttavia, contagia lo stesso il ragazzo che ha anche un interesse particolare per la meccanica. Intelligente e curioso, Emilio si appassiona, all’inizio, quando é poco più di un bambino, si occupa delle biciclette, poi comincia a interessarsi alle rare motociclette e alle ancor più rare automobili che nell’intero Mugello, all’epoca, si contano su una mano sola. Diventa un meccanico provetto, tanto che non sono pochi quelli che lo cercano per farsi aggiustare la moto o l’auto o per aumentarne le prestazioni, e lui impara a guidare sia le due che le quattro ruote e presto la sua fama di “guidatore” é pari a quella di meccanico. Intanto in un territorio aspro come quello del Mugello le autolinee diventano il complemento inevitabile della ferrovia che non può servire capillarmente i vari centri della zona e Emilio Materassi si impiega come autista alla SITA, la prima Società ad offrire questo servizio nella provincia di Firenze. Materassi guida le pesanti e lente corriere cariche di gente che va o torna dai mercati paesani e, nonostante i mezzi non siano i più adatti fa qualche “numero”  di troppo sui tornanti del passo del Giogo, tant’é che per le lamentele dei clienti, pare venga addirittura licenziato. Non se ne fa un cruccio, ormai é introdotto nell’ambiente delle corse. E’ amico di Carlo Niccolini, dei fratelli Masetti, del conte Gastone Brilli Peri e grazie al loro interessamento viene messo in contatto con la casa torinese Itala che cerca un pilota per correre il “Gran Premio dei Gentlemen”, sul circuito stradale di Montichiari, vicino a Brescia: é l’11 settembre 1921. Vince il suo amico Giulio Masetti, con la sua Mercedes rossa, e Materassi si ferma quasi subito , ma grazie alla sua intraprendenza ed all’influenza dei suoi amici, il suo contatto con l’Itala sfocia in una collaborazione. Diventa concessionario per Firenze e continua a fare il pilota per la casa torinese, e si piazza ottavo al Circuito del Mugello, nel ’22, attardato da un inconveniente meccanico, ma capisce che l’Itala non é competitiva con le Bugatti, le Alfa Romeo e le Nazzaro. Proprio queste ultime, forse, lo ispirano nelle sue scelte future: Felice Nazzaro dopo essere stato uno dei migliori piloti della sua epoca, decide di sfruttare la sua esperienza e le sue capacità tecniche ideando e costruendo lui stesso le vetture che poi porta in gara. Cerca di indirizzare le scelte dell’Itala, ma a Torino non accettano consigli,ed allora Materassi fa di testa sua. Durante lo sforzo bellico l’Itala ha costruito motori per l’aviazione su licenza Hispano-Suiza, che ora vende praticamente a peso, Materassi, che nel ’23, ha aperto a Firenze l’ “Autogarage Nazionale” ne compra uno e decide di adattarlo al telaio di un’Itala 51 che ha acquistato. Lavora senza sosta nella sua officina, nutrendosi quasi esclusivamente di gelato del quale è ghiotto, modifica pesantemente il telaio e lo stesso motore, riducendone il numero dei cilindri e portandolo a tremila centimentri cubici di cilindrata, come prescritto dal nuovo regolamento. Quando finisce l’ibrido che Materassi ha realizzato (lavorando né più né meno come gli “assemblatori” inglesi della F1 anni ’60, quarant’anni prima di loro) pesa quasi due tonnellate e per le sue generose dimensioni viene ribattezzato “Italona”, e poi “canarona” quando Emilio decide di colorarla di un giallo brillante. Ufficialmente si chiama “Itala Special” e con questa sua “creatura” Materassi vince la sua prima corsa importante: la “Coppa della Perugina”  , il 18 maggio 1924. Il sodalizio fra Emilio e la “canarona”,  é ricco di soddisfazioni sportive ed anche, se non soprattutto, tecniche: nel ’24 é quarto sulle strade di casa, al Mugello, nel ’25 é secondo al prestigioso Gran Premio Reale a Roma e alla “Coppa della Perugina”, vince il “Circuito del Savio”, Il “Gran Premio del Montenero”, a Livorno, ed il “Circuito del Mugello”. L’auto che ha realizzato compete alla pari con le Bugatti, le Alfa Romeo, le Diatto e proprio la Diatto lo ingaggia per due corse prestigiose: il Gran Premio d’Italia e quello di San Sebastian, in Spagna. Non ha fortuna, si ritira due volte e torna al volante della sua “canarona”, ma Emilio Materassi é un grande tecnico e sa che ormai quella macchina é superata. Nel ’26 vince al Montenero, dove la sua guida fa la differenza su un circuito massacrante, e fa qualche gara con la Maserati, ma, quasi fosse una maledizione, appena abbandona la sua Itala non conclude una corsa. Per la stagione successiva ottiene un ingaggio alla Bugatti, la casa più prestigiosa assieme all’Alfa Romeo e non tradisce le attese: vince subito il “Gran Premio di Tripoli”, la “Targa Florio”, poi il prestigioso “Gran Premio di San Sebastian”. La sua idea é quella di correre con un’auto sua, pare che proponga  Ettore Bugatti di gestire le sue auto da corsa, é il primo ad usare il termine “scuderia” (“non mi é venuto in mente niente di meglio” – pare risponda a Canestrini, giornalista ideatore della Mille Miglia). Bugatti non accetta, intanto sta cambiando il regolamento che imporrà la limitazione non più alla cilindrata, ma al peso della vettura che dovrà essere inferiore a 750 Kg, questo a partire dal Gran Premio d’Italia del ’28. La Talbot/Darracq intanto si ritira dalle corse e cede le sue Talbot 700, macchine spinte da un ottimo propulsore 1500cc sovralimentato progettato da un ingegnere italiano, Bertarione, ma che hanno denunciato problemi a freni e impianto sterzante. L’esposizione finanziaria é notevole, ma Materassi punta tutto sul fatto di poter recuperare i soldi con i “premi di partenza” e soprattutto con quelli per le vittorie. Quella che lui aveva chiamato “Scuderia” ora é una realtà, ed ha il suo nome : “Scuderia Materassi” e per simbolo il “giglio rosso in campo bianco”, in onore della città di Firenze. Nella sua avventura precede di poco, ma nettamente, Enzo Ferrari e Tazio Nuvolari, e, specialmente con il secondo, non mancheranno attriti in pista e fuori. Il problema più grosso per tutti, ma per Emilio Materassi in particolare, è il nuovo regolamento. Le “Talbot 700” pesano circa 780 Kg, 30 più di quanto previsto dalle nuove regole. Materassi modifica pesantemente l’intero avantreno, modifica i freni, lo sterzo, l’attacco delle sospensioni. Smonta, alleggerisce un componente, lo rimonta, poi lo rismonta di nuovo per alleggerirlo ancora. Cerca soluzioni tecniche innovative e le trova, perché é un ottimo tecnico ed al primo appuntamento della stagione, il Gran Premio di Tripoli, la “Scuderia Materassi”si presenta al via.
Dagli organizzatori ha spuntato un grosso premi d’ingaggio, ossigeno per le sua casse prosciugate dalle spese per l’acquisto delle auto e la loro modifica. Al via si allinea anche la neonata “Scuderia Nuvolari”, fondata a Mantova dall’asso delle due ruote, Tazio Nuvolari, deciso sempre di più ad imporsi anche come campione del volante.
Nuvolari, che può contare su mezzi economici decisamente superiori a quelli di Materassi, ma che si è lo stesso pesantemente esposto aveva acquistato quattro Bugatti “Tipo 35”, ma era stato costretto quasi subito a cederne due (una ad Achille Varzi) e, esattamente come Materassi, conta sulla vittoria a Tripoli per incassare dei soldi.Poco prima del via contro la Talbot della “Scuderia Materassi” viene presentato un reclamo proprio dalla “Scuderia Nuvolari”.
La questione è limpida: il regolamento del Gran Premio di Tripoli prevede la partenza di macchine con a bordo il pilota ed un meccanico, la Talbot di Materassi è una monoposto e quindi il pilota toscano, partendo da solo, sarebbe avvantaggiato da un’auto più leggera. Al termine di aspre discussioni in cui ognuna delle due parti non risparmia all’altra accuse feroci, la giuria decide che la Talbot avrebbe potuto lo stesso prendere il via se “avesse portato a bordo un’adeguata zavorra”.
Materassi, furibondo, rifiuta e Nuvolari vince il Gran Premio e si porta a casa il cospicuo premio in denaro.
Rinviato amaramente il debutto della Scuderia, Emilio, come al solito, si rimbocca le maniche e riprende la sua strada: ingaggia Luigi Arcangeli, quello che oggi chiameremmo un pilota emergente, di quasi dieci anni più giovane di lui.
Assieme fanno debuttare la “Scuderia” al “Circuito di Alessandria”: Arcangeli è costrtto a fermarsi senza benzina, ma il Materassi si piazza al quarto posto assoluto e vince la propria classe.
Il debutto è reso amaro dalla morte, in quella stessa gara, di uno degli assi del volante italiano: Pietro Bordino, che vola fuori strada dopo aver investito un grosso cane.
Intanto anche Gastone Brilli Peri, anche lui appiedato dalla Bugatti, raggiunge la “Scuderia Materassi” e, con la stupenda vittoria al Mugello, le cose sembrano prender finalmente la piega giusta.
Al Gran Premio d’Italia, la “Scuderia Materassi” può allineare cinque “Talbot 700”, oltre a quella d’Emilio, ce ne sono infatti altre quattro per Brilli Peri, Arcangeli, Brivio e Comotti.
Il sogno sembra avverarsi, ma la vigilia della corsa è avvelenata dalle polemiche, ancora una volta con la “Scuderia Nuvolari”.
Circolano voci insistenti riguardo alle irregolarità di peso di alcune macchine che si sarebbero presentate alle verifiche prive di parti essenziali come le ganasce dei freni ed il collettore degli scarichi, rimontate successivamente.
Una di queste, sempre stando alle voci, sarebbe la macchina di Nuvolari, che a sua volta accuserebbe Materassi, insomma una gran confusione.
Emilio Materassi pretenderebbe che venissero ripetuti i controlli eliminando eventuali concorrenti irregolari, le discussione sono accese, le accuse pesanti: gli strascichi di Tripoli hanno avvelenato gli animi.
Nuvolari, tuttavia, gode di ottimi appoggi e gli organizzatori non se la sentono di escludere uno dei protagonisti più attesi: viene deciso che partano tutti.
Materassi si sente vittima di un’altra ingiustizia, con lui non hanno applicato la stessa indulgenza.
Al via si presenta teso, irritato, e deciso a prendersi la rivincita sulle scartoffie e su chi , a suo avviso, le impiegherebbe per batterlo.
Quando la gara prende il via la sua Talbot è tormentata da piccole noie, apparentemente inspiegabili, si pensa ai freni, nuovamente modificati.
Si ferma, gesticola, riparte dopo un breve controllo con i meccanici che si affollano attorno alle ruote anteriori.
Dopo pochi giri la scena si ripete, perde irrimediabilmente terreno, ma quando riparte il problema sembra risolto, quando sfreccia davanti ai box fa un segno che sembra rassicurante.
Si lancia in un furioso inseguimento, per affermare le sue qualità di campione contro tutte le avversità, contro quella sfortuna che lo perseguita.
Al diciassettesimo giro, quasi fosse un altro segno del destino o della sfortuna, all’uscita della curva parabolica si trova davanti la Bugatti del bergamasco Giulio Foresti, un osso duro come lui.
All’inizio del rettifilo davanti alle tribune gremite di folla, uno dei tratti rimasti ancora oggi immutati nel tracciato dell’Autodromo di Monza, le due auto si affiancano, per qualche attimo restano appaiate, poi la Talbot di Materassi scarta bruscamente a sinistra e senza accennare a nessuna correzione attraversa in diagonale la pista, si schianta sulle protezioni, vola oltre il fossato che la divide dal prato affollato di spettatori e piomba in mezzo a giovanotti eleganti con bastone e lobbia che accompagnano signorine col vestito della domenica, a intere famiglie con i bambini vestiti alla marinara.
Quando la Talbot finisce di piroettare impazzita seminando morte e si ferma col retrotreno nel fossato, al suolo vi sono venti cadaveri straziati e più che altrettanti sono i feriti, alcuni dei quali in condizioni disperate.
In mezzo a loro Materassi, sbalzato dalla vettura dopo il primo impatto e scaraventato al suolo. Si è rialzato, muove qualche passo, sembra addirittura voler pronunciare qualche parola ai soccorritori, poi crolla al suolo e muore pochi istanti dopo.
Le cause dell’incidente non verranno mai chiarite. All’inizio si pensa ad un eccesso di foga e di agonismo che avrebbe portato Materassi e Foresti ad un contatto, ma la Bugatti del pilota bergamasco non reca nessun tipo di segno sulla carrozzeria nè sulle ruote.
Altri ipotizzano che le modifiche fatte per rientrare nel peso abbiano indebolito particolari costruttivi importanti che, cedendo, avrebbero reso la macchina incontrollabile, e proprio al degrado di questi componenti (sterzo ? sospensioni ?) sarebbero state dovute le due fermate durante le quali, nella foga di tornare in gara, non si sarebbe compresa la gravità della situazione.
Già prima della gara, l’ingegner Pasquale Borracci, la cui figura è stata recentemente ricordata con la pubblicazione di un libro, aveva scritto su “Auto Italiana” un articolo intitolato “Le incongruenze e le incognite della nuova formula” che metteva in guardia sui pericoli della limitazione di peso imposta dal regolamento.
Abbiamo detto” – scriveva Borracci –“ che alcune fra le più recenti litro e mezzo si aggirano già sul limite dei 750 kg. Possiamo dire di più. Le Talbot, che saranno certamente presentate in gara dalla “scuderia” Materassi, pesano circa 780 kg. Sarà necessario, perché queste macchine siano ammesse in corsa, che venga sacrificato qualche pezzo accessorio non assolutamente indispensabile e, quel che è peggio, che sia alleggerito qualche organo a scapito della sua resistenza”.
Parole che suonano come una premonizione.
Sulle cause dell’incidente non si indaga più di tanto, il regime vuole dimenticare subito la tragedia e sui giornali dell’epoca la retorica ha sempre il sopravvento sulla cronaca, ed i piloti sono sempre “vittime del loro ardimento”.
In questo caso c’è l’imbarazzo delle vittime fra gli spettatori, il nome di Materassi scompare nel nulla.
Negli anni successivi nessuno s’interesserà più delle cause di quella che per quasi trent’anni (vale a dire fino all’incidente di Le Mans del giugno ’55) è stato l’incidente più grave della storia dell’automobilismo sportivo.
All’epoca era stata avanzata, sotto voce, un’altra ipotesi per questa inspiegabile tragedia: sembra che Emilio Materassi, in condizioni di particolare stress, fosse soggetto ad improvvise perdite di conoscenza di brevissima durata, talvolta solo pochi attimi, sufficienti, comunque, a fargli perdere il controllo dell’auto.
Lo avrebbe rivelato anni dopo un suo fedele meccanico che gli aveva fatto da passeggero agli inizi della carriera e che in più di un’occasione l’avrebbe risvegliato appena in tempo per evitare rovinose uscite di strada.[1]
A questo fatto, col quale aveva capito di dover convivere e imparato a farlo, era dovuta l’avversione di Emilio Materassi ad ospitare a bordo un meccanico, spesso attribuita alla sua maniacale attenzione al peso (“nemico della velocità”), non voleva, infatti, che nessun altro rischiasse la vita per causa sua.

 

Francesco “Pedro59” Parigi (26/08/08)
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[1] ”Auto d’Epoca” – dicembre 1988, “La morte di Materassi”, di Fausto Appicciafuoco – Il meccanico si chiamava Antonio Pompetti ed era stato un compagno fedele di Materassi dei cui problemi di salute di decise a parlare solo molti anni dopo l’accaduto, anche se, secondo le sue dichiarazioni, nell’ambiente delle corse erano in molti ad esserne a conoscenza.
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