Claudio Costa, il dottore ideatore della clinica mobile, li definisce – con tenerezza paterna – “angeli del sacrificio” o, addirittura, attingendo alla letteratura mitologica: “eroi (del motomondiale) che racchiudono nella vera vita l’immensa follia di Dionisio e la splendida luce della ragione di Apollo”. Quanta passione in queste definizioni e altrettanta fiducia nell’animo umano, e, nella maggior parte dei casi nel fisico umano. Quel fisico rigenerabile, come i terminator cinematografici, dei piloti motociclistici. Fanno sempre più notizia quei piloti che nonostante le fratture, le contusioni, le distorsioni e qualsiasi tipo di malanno riescono a prendere parte alle gare. Prodigi dell’equipe medica ai comandi di Costa ma anche merito della tecnologia applicata alla medicina. Chi non ricorda il guanto “bionico” di Noboru Ueda? Conseguenza di un grave incidente il giapponese aveva perso la parziale funzionalità dei tendini della mano. Il medico bolognese gli costruì uno speciale guanto con degli elastici che artificiosamente permettevano al pilota nipponico di aprire e chiudere la mano. Tanti i “miracoli” fatti in 30 anni di attività. Tanti piloti gli devono gare, podi, vittorie. Alcuni l’intera vita. <<Il mio compito è trasformare la sofferenza in felicità>> afferma Claudio Costa con smisurata modestia. Vedere oggi piloti come Pedrosa e Hopkins che a stento camminano, correre, e nel caso dello spagnolo, lottare per la vittoria non stupisce più di tanto. Fa riflettere, invece, questo trend che vuole il pilota in pista a tutti i costi. Seppur non in perfetta forma fisica e a volte mentale. Si deve gareggiare: si lotti per il mondiale o per un 20° posto! Casey Stoner per due volte ha corso con dei seri problemi intestinali che però non gli hanno impedito di arrivare due volte terzo. Vedere l’australiano sconvolto ed esausto sul podio, però, fa pensare se ne vale la pena? Se davvero dobbiamo esaltarci per questi ragazzi che coscientemente o no vestono i panni dei novelli “Enrico Toti”, pronti a lanciare le loro stampelle pur di correre? Ci si chiede quanta di questa bulimia agonistica sia da ricercare nell’animo irrefrenabile dei piloti e quanta nelle clausole dei loro contratti? Ci si chiede quanto sia giusto/logico/responsabile mandare in pista ragazzi non al top fisicamente col rischio che un errore possa metterli in pericolo o coinvolgere altri corridori? Ci si chiede se non sarebbe meglio stoppare la frenesia da presenzialismo forzato: di dare il giusto tempo a questi piloti/uomini/ragazzi? Sempre Costa medico/confessore/padre dei centauri rivela che correre è il loro sogno meraviglioso ma perché non rimandarlo di qualche giorno, del necessario affinché sia un sogno vissuto con il sorriso e non con le lacrime di dolore? In un settore come il motorsport sempre alla ricerca della massima sicurezza è il minimo che si possa fare, prima che succeda l’irrimediabile.
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vorrei ricordare la leggenda di bayliss che corse dopo 3 giorni da un operazione alla clavicola dopo imola 2001 , nel2002 con una contusione alla vfertebra, nel 2006 vince il ondiale con dei chiodi al polso , nel 007 fa la pole dopo essersi fatto amputare un dito , nel 2008 fà pole e vittoria ad assen con una grossa contusione alla schiena Da vera leggenda
BAYLISS the king