Lo sappiamo, le corse danno tanto e prendono tanto. Regalano gioie incredibili e dolori profondissimi. Imprese memorabili, e tragedie altrettanto difficili da dimenticare. 10 anni fa si consumava proprio una di queste.
Il 31 Ottobre 1999 l’automobilismo perdeva quello che sarebbe diventato sicuramente uno dei campioni della nostra epoca. Ci sono piloti su cui si possono nutrire de dubbi, piloti che potranno vincere o potranno non vincere, a seconda delle situazioni che capiteranno loro durante la loro carriera. Su Greg Moore non c’erano dubbi, bastava vederlo in pista per capire cosa sarebbe diventato. Un campione. Cosa avrebbe vinto. Tutto. Greg Moore era uni di quei piloti che nascono periodicamente e che segnano la loro epoca. Ma il destino che avvolge le corse automobilistiche ha voluto che andasse diversamente.
Moore era nato a New Westminster, British Columbia, Canada, vicino Vancouver, il 22 aprile 1975. Aveva cominciato a correre coi go-kart per poi passare alle monoposto della Formula Ford, mettendo subito in mostra un talento tanto precoce quanto straordinario. Nel 1993, all’età di 18 anni, il salto nella Indy Lights, la formula propedeutica della CART. Nonostante corresse per un piccolo team a conduzione familiare, Moore terminò il campionato al nono posto. All’età di 18 anni, divenne il più giovane pilota a vincere un evento sanzionato dalla CART, quando vinse la prova inaugurale della stagione 1994 a Phoenix. Quell’anno vinse tre gare e finì terzo in campionato. Queste performance attirarono uno dei team principali della categoria, il Forsythe Racing, e lo sponsor British American Tobacco, che col proprio brand Player’s era molto popolare in Canada. La stagione Indy Lights 1995 fu senza storia, Moore vinse 10 delle 12 gare, di cui cinque consecutivamente, trionfando ovviamente alla fine del campionato. L’anno dopo il passaggio nella CART World Series con il Forsythe Racing fu automatico.
La sua stagione da rookie lo vide conquistare un secondo posto a Nazareth, un terzo a Cleveland e un quarto a Toronto. Greg concluse nono in campionato, conquistando 84 punti ed arrivando secondo nella corsa al titolo di Rookie of the Year dietro ad Alex Zanardi. L’anno dopo cominciò con due secondi posti nelle prime due gare, a Sufers Paradise e a Rio. Alla settima gara della stagione, a Milwaukee, Moore divenne il più giovane vincitore di una gara Indycar, all’età di 22 anni, battendo Michael Andretti per meno di un secondo. Sette giorni dopo, ottenne la sua seconda vittoria in carriera a Detroit, in un incredibile finale in cui iniziò il giro finale al terzo posto, prima che i due piloti che lo precedevano, Mauricio Gugelmin e Mark Blundell (tra l’altro compagni di squadra) rimanessero a secco di carburante. Il resto della stagione non fu però altrettanto esaltante, e Greg finì settimo in campionato con 111 punti.
Nel 1998 il team raddoppiò l’impegno, schierando una seconda vettura per un altro pilota canadese, Patrick Carpentier. Moore iniziò bene la stagione, con tre arrivi nella top 5 nelle prime quattro gare della stagione. Alla quinta, sull’ovale di Rio de Janeiro, ottenne la sua terza vittoria in carriera, grazie ad un grande sorpasso all’esterno su Zanardi nelle battute finali della corsa. Qualche gara dopo, sul Michigan International Speedway, Moore superò all’ultimo giro Vasser e Zanardi andando a vincere la US500 e la Coppa Vanderbilt, uno storico trofeo (vinto in passato anche da Tazio Nuvolari) rispolverato dalla CART per dare lustro alla propria 500 Miglia. Alla fine della stagione per Moore ci sarà il quinto posto in classifica con 141 punti conquistati. Il 1999 si apre invece col successo nella prova inaugurale della stagione, ad Homestead, ma la scarsa competitività del motore Mercedes non gli permise di lottare per il campionato. Ma il suo talento e le sue performance gli aprirono le porte del Penske Racing, con cui Moore trovò un accordo e firmò un contratto per la stagione 2000. Roger Penske aveva visto in lui il pilota giovane di talento da affiancare all’esperto Gil de Ferran, da cui Moore avrebbe dovuto imparare i trucchi del mestiere per spiccare definitivamente il volo.
L’ultima gara della stagione si disputava sul velocissimo California Speedway, una 500 Miglia che avrebbe dovuto decidere chi sarebbe stato il campione tra il rookie colombiano Juan Pablo Montoya e lo scozzese Dario Franchitti. Il giorno precedente la gara, Greg ebbe un incidente nel paddock mentre guidava il suo motorino, scontrandosi con un’auto di servizio e ferendosi alla mano destra. Nel dubbio, il Forsythe Racing chiamò Roberto Moreno per sostituirlo. Dopo una visita medica e un test in macchina, gli fu permesso di correre con un tutore, e Moore si schierò sul fondo dello schieramento, avendo dovuto saltare le qualifiche. Il giorno della gara soffiava un forte vento da nord, che dava fastidio in special modo uscendo dalla curva 2 e immettendosi sul rettilineo opposto a quello del via. Al terzo giro, Richie Hearn sbattè in quel punto, non riportando alcuna conseguenza. Al nono giro della gara, sempre all’uscita della curva 2, Moore perse il controllo della sua vettura, che schizzò verso l’interno a più di 330 kmh. La sua auto si alzò su di un lato ed andò a colpire il muro di cemento interno a testa in giù. L’impatto causò a Moore numerosi danni alla testa, al cervello, al collo, ed altre lesioni interne. Fu tirato fuori dal Safety Team della CART e trasportato in elicottero al vicino Loma Linda University Medical Center, ma tutti i tentativi di rianimarlo fallirono. Aveva solo 24 anni quando morì. La gara continuò, con Adrian Fernandez vincitore e Montoya campione CART. Moore venne dichiarato morto prima della fine della gara, e il resto della corsa fu disputato con le bandiere a mezz’asta, e tutte le celebrazioni per la gara e per il campionato furono annullate. Il Forsythe Racing decise di chiedere a Carpentier di tornare ai box e ritirarsi. Nessun altro pilota era a conoscenza della morte di Moore fino alla fine della gara. Su richiesta del padre di Greg, Ric Moore (che lo aveva supportato finanziariamente nei primi anni di carriera), la cerimonia di consegna dei premi per la stagione fu eseguita come previsto la notte seguente, anche se il suo formato fu cambiato in segno di rispetto per le famiglie di Greg Moore e Gonzalo Rodríguez, che era rimasto anch’egli ucciso quella stagione, in un incidente pochi mesi prima a Laguna Seca. Per ulteriore segno di rispetto verso Moore, la CART ritirò il suo tradizionale numero, il 99.
Dopo l’incidente di Moore si scateneranno ovviamente le polemiche, rivolte specialmente verso la scelta di adottare la cosiddetta “ala Handfort”, un tipo di ala posteriore che non assicurava sufficiente carico aerodinamico ed era notevolmente instabile in condizioni climatiche non ideali, come quelle del giorno della morte di Moore, e che infatti l’anno successivo venne abolita. L’International Speedway Corporation, che acquistò poco dopo il circuito, decise di sostituire l’erba all’interno dell’uscita delle curve con una pavimentazione in cemento che impedisse alle auto di cappottarsi. La CART decise di adottare dei sistemi per proteggere il collo dei piloti, e poco dopo vene adottato il cosiddetto “collare HANS” che tuttora protegge i piloti. Molto probabilmente però neanche questo sistema avrebbe potuto salvare la vita a Moore. Per ironia della sorte, l’ultimo incidente della carriera di Moore prima di quello fatale avvenne durante una sessione di test in Agosto. Il circuito era lo stesso, il California Speedway.
In 72 corse CART, Moore ottenne cinque vittorie e 17 podii. La sua carriera fu stoppata quando stava per esplodere, quando aveva appena firmato il contratto della vita con il team più prestigioso della categoria, quello di Roger Penske. Dopo la sua morte, Penske vincerà tre volte il campionato, con de Ferran e Sam Hornish, e tre edizioni della 500 Miglia di Indianapolis, con quello che fu il sostituto di Moore, Helio Castroneves, che di fatto non ne ha solo ereditato il posto, ma anche la carriera. Paradossalmente, tutti i problemi che hanno travolto Castroneves lo scorso anno, con l’accusa di evasione fiscale e il rischio di una lunga carcerazione, nascono proprio dalla sua grande occasione, la sostituzione di Moore dopo la sua morte. Il manager di Moore, Alan Miller, pressato da Penske che aveva bisogno di cominciare presto la nuova stagione, e che aveva speso più di sei mesi per redigere il contratto di Moore, semplicemente sostituì il nome del canadese con il nome Castroneves, sottovalutando il fatto che i due avessero residenze fiscali diverse (Moore nelle isole Cayman e Castroneves nell’area metropolitana di Miami). Questo errore porterà poi nell’inverno scorso alla nascita delle accuse di evasione fiscale verso Miller, Castroneves e sua sorella.
Anche se la sua carriera fu molto breve, Moore dimostrò subito il potenziale di un campione e la maturità di un veterano nonostante l’età molto giovane. “Egli è stato un pilota di incredibile talento e molto intelligente, intelligente e maturo per un ragazzo della sua età“, ha detto il suo amico Ross Bentley, ex-pilota Indycar e originario anch’egli di Vancouver. “Raramente commetteva degli errori. Era veramente un buon pilota e molto veloce.” “Aveva un talento datogli da Dio, ma anche da suo padre“, ha dichiarato Andy Field, un altro ex-pilota di Vancouver che aveva assunto Moore a 17 anni per un test privato per una società di pneumatici. “Ma ciò che separa campioni come Moore da altri piloti di talento è il fatto di non aver bisogno di aiuti per arrivare a raggiungere i massimi livelli.”
Un’altra curiosità è quella che fu proprio Moore a presentare a Dario Franchitti la sua attuale moglie, l’attrice Ashley Judd. Moore portò infatti Franchitti ad una festa organizzata da un suo amico, l’attore, originario di Vancouver, Jason Priestley, e fu in quel party che Franchitti incontrò la Judd. Franchitti ha dedicato numerose vittorie a Moore: la prima volta nel 2002, quando vinse proprio a Vancouver. Nel 2005, quando vinse sul California Speedway, fermò l’auto proprio all’uscita della curva 2, dove Moore aveva perso la vita, per festeggiare la vittoria. Pochi giorni fa, dopo aver vinto il suo secondo campionato Indycar, Franchitti ha dedicato la sua vittoria a Moore a dieci anni dalla sua prematura scomparsa. “Oggi ho perso uno dei migliori amici che io abbia mai avuto“, disse Franchitti dieci anni fa al termine della corsa. “ Era mio amico. Dopo quello che è successo, nient’altro ha importanza. Negli ultimi due anni, da quando ci siamo conosciuti, abbiamo condiviso un sacco di bei momenti insieme. E’ stato l’avversario più duro contro cui abbia dovuto lottare, ed era il più divertente con cui stare fuori dalla pista. Sarebbe diventato campione molte, molte volte.“
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Hai fatto benissimo a ricordare con un articolo Greg! 😀
Personalmente ricordo bene quella sera, la gara era trasmessa da Eurosport…si capì subito che non c’era niente da fare, il resto della corsa fu davvero strano, perchè loro correvano mentre da fuori si sapeva tutto…penso che tutti quelli che, come me, gurdavano la gara in diretta la seguirono con una sensazione strana, un pò stranita…fu un incidente che mi colpì per la violenza, per il fatto che aveva coinvolto un ragazzo così giovane…l’unica, magra, consolazione è che almeno è morto, come tutti gli altri piloti che ci hanno lasciato, facendo quello che gli piaceva di più…