Boom. Un’altra vittima. Ancora giapponese. Dopo il ritiro di Honda e Bmw, anche la Toyota fa le valigie. Stavolta però la crisi c’entra poco. Il motivo chiamasi business. Dopo otto anni di Formula Uno i massimi vertici giapponesi hanno deciso che investire in questo sport non è più conveniente. D’altronde, in otto anni, non è arrivata nessuna vittoria, quindi via. Così di punto in bianco. Non conviene? Si lascia. Alla faccia dello spirito sportivo.
SVOLTA Questa F1 sta subendo una svolta. E pensare che qualcuno lo aveva annunciato. Un presidente, anzi un ex presidente dall’occhio lungo. Lui voleva mettere un tetto, ma anche con quel tetto, probabilmente, la Toyota avrebbe lasciato. E lo avrebbe fatto sempre per quelle parole: non conviene. Dal Giappone, infatti, hanno sempre investito dollari, yen, euro e quant’altro ottenendo scarsi risultati. Ma da quello che si è visto, in questi anni, nel box bianco-rosso è mancata una seria organizzazione. La gara in Bahrain è stato un segno evidente di disorganizzazione con due vetture in prima fila, notevolmente veloci, ma mal gestite nel corso della gara. Quindi la conclusione che si trae in uno sport come la F1 è la seguente: i soldi contano, ma non bastano. Il miracolo “Brawn” è la prova, la conferma che un’ottima gestione porta risultati. Quella di Ross è stata impeccabile, mai un errore di troppo, e tanti tanti soldi spesi in meno rispetto le rivali.
PARAGONI Possiamo quindi fare un paragone storico ricordando le lotte tra Annibale e i Romani. Annibale agiva di tattica, i Romani ragionavano con i numeri facendo del “più siamo meglio è” il loro motto. Peccato che persero più di una lotta. Così come ha perso questa lotta la Toyota e tutti quei costruttori convinti che in Formula Uno bastano i soldi e niente più per essere vincenti. E lo stanno capendo dopo anni e anni di battaglie perse. E poi, uscendo in questo modo, han perso pure la guerra. D’altronde chi si affaccia in questo mondo per “sponsorizzarsi” come se fosse un cartellone pubblicitario, non ci si può aspettare tanto sport. In Bmw l’anno capito dopo quattro anni che questa campagna di marketing non conveniva. Come l’han capito in Jaguar qualche tempo fa. Un caloroso benvenuto quindi a quei team che si getteranno in questa avventura non certo per sponsorizzarsi e vendere al meglio il loro prodotto, ma solo ed esclusivamente per gareggiare e vincere, pur non disponendo di grandi fondi ma trovando le motivazioni e l’organizzazione giusta per andare avanti e togliersi qualche soddisfazione. Come si faceva in passato quindi. Che sia la volta buona?
Valerio Lo Muzzo
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Il team che manca in F1, è la Minardi. Sarebbe bello riaverla nel mondiale 2010. La Toyota poteva sponsorizzare Kobayashi e chissà, magari avremmo avuto un giapponese che poteva lottare per il mondiale, forse da un punto di vista economico aveva ragione Mosley ma se uno i soldi non li sa sfruttare è meglio che lasci. L’unica cosa che non capisco è perché prima dicono vogliamo comprare Räikkönen e Kubica e poi abbandonano? Speravamo che due ottimi piloti venivano aiutando la scuderia con gli sponsor personali per sopravvivere e vincere? Troppo comodo così! In questo modo però la Sauber potrebbe iscriversi al posto della Toyota, visto che era la prima riserva.