Nonostante un destino avverso che ha posto fine anzitempo alla sua vita nel Settembre 1978, Ronnie Peterson rappresenta una vera icona per lo sport motoristico degli anni Settanta, riempiendo il cuore degli appassionati di struggente nostalgia molto più che rispetto ad altri colleghi coevi dal palmares maggiore.
Iscritto ai registri anagrafici con il nome di Bengt Ronald Peterson, il futuro pilota nacque nella città svedese di Orebro il 14 Febbraio del 1944, interessandosi sin dai primi anni dell’infanzia a tutto ciò che era in grado di muoversi con delle ruote.
Di carattere schivo e tendenzialmente solitario, il piccolo Ronnie faceva fatica a legare con i coetanei ed a condividere con loro la spensieratezza degli anni infantili, portando qualche preoccupazione ai genitori ed agli insegnanti per la scarsa volontà di applicarsi sui libri di scuola. In realtà, Ronnie era un bimbo molto creativo e dotato di grande intelligenza, dirottata a “studiare” il modo per rendere più efficienti i carretti di legno con le ruote che utilizzava per correre nelle discese vicino a casa.
Potrà apparire strano, ma a dirigere il cuore di Ronnie verso un mondo fatto di sudore, passione, drammi ed adrenalina, fu proprio la piccola collina posta vicino la casa natale di Orebro. Infatti, a bordo di una specie di carretto a quattro ruote dotato di un rudimentale sistema di sterzata, Ronnie si lanciava nella discesa cercando di volta in volta il sistema per scendere in modo sempre più veloce, trovando così il divertimento principale dei suoi primi anni di vita. Visto l’interesse sempre crescente per questo strano gioco, ed i brividi ancora più grandi nel scendere dalla collina con il ghiaccio durante l’inverno, il padre di Ronnie regalò al figliolo una bicicletta da corsa e costruì un piccolo kart mosso da un vecchio e lento motore.
Furono proprio questi regali ricevuti dai genitori, in particolar modo il piccolo kart, a dare il via in modo definitivo all’attrazione di Ronnie verso tutto ciò che è veloce e generoso dispensatore di emozioni e brividi, trascorrendo gli anni alternando la scuola al mattino alle corse per le colline in bici, accompagnate da giri di pista (su di un kartodromo nei dintorni di Orebro) con il kart sempre più frequenti ed appassionanti.
Ormai inconsciamente deciso di fare della velocità il proprio mestiere, Ronnie cercò di completare il prima possibile le scuole di base per potersi dedicare completamente ad automobili e motociclette, iniziando all’età di sedici anni a lavorare presso l’officina Renault della sua città. Di lì a poco, oltre che sulle automobili francesi della Régie, Ronnie ebbe l’opportunità di “mettere le mani” anche su alcune motociclette, rimanendone incuriosito ed affascinato, tanto che decise di impiegare le prime Corone guadagnate nell’acquisto di una motocicletta da 250 cm^3 di cilindrata. Forse per l’intrinseca pericolosità delle moto, o per la sua connaturata affinità verso le quattro ruote, il padre di Ronnie, già pilota-costruttore di categoria F3-500 negli anni Quaranta, decise di spostare l’attenzione del figlio verso le auto, costruendogli un vero kart da corsa con motore da 200 cm^3 per disputare il campionato svedese l’anno seguente.
Dopo aver passato buona parte del 1962 ad esercitarsi alla guida del nuovo kart, nel tempo libero dopo il lavoro alla Renault, Ronnie disputò il campionato nazionale di categoria nel 1963. Fin dalle primissime corse il talento naturale verso la guida emerse in modo chiaro, permettendo al giovane aspirante pilota di conquistare lo scettro della classifica generale del 1963, replicando in sequenza con i titoli del 1964 e del 1965.
Dopo aver disputato in modo vincente le prime tre stagioni a bordo di un kart, affinando gara dopo gara il controllo del mezzo mediante sbandate controllate del retrotreno, stile di guida controsterzante che lo renderà celebre negli anni della Formula 1, Ronnie decise di provare a gareggiare anche nel campionato europeo e nel campionato mondiale nel 1966. Come ulteriore dimostrazione delle capacità di domare quei piccoli e nervosi mezzi a quattro ruote, Ronnie riuscì nell’impresa di vincere il campionato europeo al primo tentativo, affiancandolo ad un prestigioso terzo posto nella kermesse mondiale. Per la verità questo piazzamento lasciò un po’ di amaro in bocca a Ronnie, abituato fin da subito a primeggiare, divenendo però, a mente fredda, grande motivo di orgoglio in quanto l’altezza ed il peso lo svantaggiavano notevolmente in accelerazione e ripresa, rispetto ai colleghi con taglie da fantino, fra i quali si ricorda l’italiana Susy Raganelli (nella foto qui sotto), pilotessa con cui Ronnie ebbe una frequentazione.
Il 1966 fu veramente un anno di estrema importanza per Ronnie, difatti, oltre l’impegno del gareggiare nel campionato europeo e mondiale di kart, iniziò a disputare pure delle gare di Formula 3 al volante della Svebe, monoposto costruita dal padre prendendo come ispirazione la Brabham che rappresentava lo stato dell’arte per le Formula 3. La monoposto artigianale, purtroppo, non si dimostrò competitiva durante le gare del 1966, portando la famiglia Peterson a metterla in vendita alla fine dell’anno per acquistare una Brabham BT18.
L’anno seguente, grazie alle migliori prestazioni che Ronnie riusciva ad ottenere al volante della Brabham BT18, venne arruolato nella selezione svedese per la Coppa delle Nazioni in programma ad Hockenheim in Germania, ritrovando i fratelli Pederzani, conosciuti durante gli anni del karting, i quali avevano portato nel velocissimo tracciato tedesco una Tecno. Questa vettura di Formula 3, guidata in modo magistrale dall’allora poco conosciuto ticinese Gianclaudio Giuseppe Regazzoni, affascinò Ronnie per la maniera in cui permetteva la guida in continua derapata a lui molto cara, decidendo di acquistarne una per il 1968.
Il connubio fra lo stile di guida controsterzante di Ronnie e le capacità telaistiche della Tecno portarono lo svedese a sbalordire molta gente durante lo sviluppo del campionato nazionale di Formula 3 del 1968, ove Peterson conquistò ben 12 vittorie su 26 corse disputate, mettendosi in evidenza anche nelle competizioni valevoli per la rassegna europea di categoria, con un prestigioso terzo posto al Gran Premio di Monaco. Ormai tutto lasciava presagire che per Ronnie il futuro sarebbe stato roseo e foriero di numerosi successi, ottenendo nel corso del 1968 anche lo status contrattuale di pilota professionista con un rimborso spese per materiali e trasferte. L’annata sportiva seguente, che vedeva Ronnie sempre più vicino alla fama di Reine Wisell, fino ad allora considerato la più grande speranza per l’automobilismo da pista svedese, venne disputata ancora al volante della Tecno, conquistando nuovamente il titolo nazionale e, cosa fondamentale per il proseguo della carriera, aggiudicandosi il Gran Premio di Monaco battendo, dopo un lungo duello, proprio il connazionale Wisell.
Infatti, di lì a poco iniziò per Ronnie un periodo denso di contatti con scuderie e persone influenti del motorsport, ricevendo proposte importanti come l’invito della BRM a visitare le sue officine in vista di un test con la vettura di Formula 1, la disputa del Gran Premio della Lotteria di Monza in Formula 2 con la Tecno (foto sotto) e ed il programma triennale (due stagioni in Formula 2 e la terza in Formula 1) per la scuderia March diretta da Max Mosley. La via maestra per il promettente pilota scandinavo sembrava segnata, ma un brutto incidente accorsogli durante la gara parigina di Formula 3, disputata nell’Ottobre 1969, al volante della nuova March 693 rischiò di compromettere il tutto. Ronnie uscì di pista perdendo i sensi a causa dell’impatto, riportando anche delle leggere ustioni a causa del principio d’incendio che si sviluppò dai rottami della vettura, costringendo i sanitari ad un celere ricovero in ospedale. Fortunatamente Ronnie non riportò lesioni serie e, una volta ripresi i sensi, lasciò interdetto e preoccupato il personale medico dell’ospedale in quanto non proferiva parola, per la forte paura di aver compromesso i rapporti con la scuderia March a causa dell’incidente. Nello stesso tempo in cui Ronnie giaceva nel letto d’ospedale tormentato dai pensieri di essersi giocato il contratto con la March per quanto successo in pista, anche i responsabili della squadra inglese provavano preoccupazione, in quanto non avevano più notizie certe e rassicuranti sullo stato di salute di Ronnie, a causa dei medici che non potevano capire che il pilota soffriva moralmente più che fisicamente. Di conseguenza, Alan Rees, uno dei responsabili del team inglese, si recò al nosocomio che ospitava Ronnie per fargli firmare il tanto sospirato contratto per il mondiale di Formula 1 del 1970.
Forte dell’autografo posto in calce ai dattiloscritti della March, Ronnie fece ritorno a Orebro per trascorrere tranquillamente la convalescenza, iniziando però a tormentarsi nuovamente di dubbi e perplessità sul suo debutto in Formula 1 per le notizie che leggeva sui giornali, che davano come titolari in March per il 1970 Chris Amon e Joe Siffert. Vedendo così vanificato il contratto siglato sul letto d’ospedale, Ronnie dovette tristemente ripiegare sull’idea di disputare il campionato di Formula 2 con la March. Sfortunatamente, anche questa ipotesi durò come la neve al sole, in quanto la March, alle prese con problemi di budget per la Formula 1, decise di vendere la scuderia di Formula 2 a Malcolm Guthrie, facoltoso gentleman driver britannico. Questi, oltre a condurre lui stesso la prima vettura, arruolò per il secondo volante Chris Amon già titolare anche in Formula 1, lasciando praticamente Ronnie con un pugno di mosche in mano. Distrutto psicologicamente dall’idea di trascorrere tutto il 1970 senza disputare delle gare, Ronnie iniziò a tessere febbrili contatti con scuderie e tecnici del mondo della Formula 1, con la speranza di ottenere un sedile entro breve tempo.
Dopo tanto soffrire, finalmente Ronnie poté nuovamente iniziare a sorridere grazie ad un ricco collezionista d’auto da corsa di nome Colin Crabbe che, dopo aver già acquistato una Mclaren nel 1969, decise di partecipare come team privato al mondiale di Formula 1 del 1970 con una March 701 (foto sopra). Quasi per ripagare Ronnie dal torto del contratto non rispettato, i vertici della March suggerirono a Crabbe il nome del pilota svedese, dandogli così l’opportunità di debuttare in Formula 1 al Gran Premio di Monaco, un anno dopo la vittoria in Formula 3.
Continua
Jona Ceciliot
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