Me lo immagino seduto,appollaiato come un falco sul solito carrello portattrezzi arancione della Beta Utensili.
Spettinato, casco guanti e balaclava al suo fianco, osserva silenzioso il lavoro dei suoi meccanici.
Con lui l’inseparabile Mauro, il genio della meccanica, l’inventore del cambio trasversale impegnato nel difficile lavoro di trasferire sulla vettura appena rientrata le modifiche richieste dal “suo” pilota.
Me lo immagino mentre, sguardo fisso a mezz’aria, vede oltre. Mentre immagina il Futuro. Un futuro in cui l’alluminio lasci spazio a qualcosa di nuovo, un futuro in cui i motori girino 6 o 8mila giri più veloci, un futuro in cui lo spazio di frenata e la velocità in curva diventino sempre più inversamente proporzionali, un futuro in cui il figlio che lo accompagna ovunque riesca a lasciare quel segno che fino ad oggi non è riuscito a lasciare.
Me lo immagino ventotto anni più tardi ospite di lusso, seduto al fianco di Domenicali, capelli bianchi e spettinati come sempre, cuffie in testa e pass al collo, mentre aspetta la partenza del gp di casa.
Sono sicuro che sorriderebbe vedendo il trattamento ricevuto al via da Felipe alla prima curva a sinistra.
Un Felipe preso a sportellate da Jenson prima e dal determinato a non cedere un millimetro Tonio Liuzzi poi, un Felipe che semina pezzi di alettone e deflettore. Briciole, schegge di quell’incredibile materiale dal procedimento costruttivo altrettanto incredibile.
Stoffa che diventa scocca, un mix di leggerezza e robustezza da inserire in un forno per un paio d’ore. Nessun rivetto. Solo passione, chimica e migliaia di ore in gallerie del vento fantascientifiche.
Lo vedo mentre la sua sedia ruota all’ unisono con quella di Stefano nell’ esatto momento in cui la scritta “Pit” si accende sul lcd affianco al nome di Felipe. Sguardi attenti, professionali, attenti ad ogni minimo dettaglio fuori posto.
Frenata millimetrica, cavalletti, via il musetto, via le ruote, musettoruote nuove e via verso l’ultimo posto della classifica. Il tutto mentre il compagno spagnolo insidia da molto vicino il solito Vettel che parte dalla prima fila.
Felipe riparte assieme a Liuzzi, con la medesima condanna di un gp finito ancora prima di cominciare da portare alla fine in un modo o nell’ altro, con la muta consapevolezza di aver lasciato per strada schegge di carbonio e punti mondiali.
Immagino quegli occhi profondi scrutare i vari superslowmotion proposti dalla regia, mentre l’indice và istintivamente ad evidenziare le gomme morbide ormai alla frutta di un Campione del Mondo che fatica ad uscire dalle curve. Uno spettacolo per palati fini, uno spettacolo per uno come Webber che fà un solo boccone del povero inglese costretto al rientro in pit già al sesto giro.
Immagino gli stessi occhi sbarrarsi di fronte al sincronismo, alla straordinaria efficienza, all’ assoluta perfezione dimostrata al cambio gomme di un Fernando rientrato ai box incollato ai tubi di scarico di Hamilton. Immagino il suo pugno chiudersi esultante mentre tutto il resto del corpo si protende oltre la balaustra nell’ esatto momento in cui lo spagnolo affianca e sorpassa l’inglese appena usciti dalla corsia box. Pacche sulle spalle, sguardi d’intesa con Stefano, applausi ai ragazzi, adrenalina che torna a scorrere, a ripercorrere strade conosciute.
Immagino i suoi ricordi riaffiorare, rivedendo sè stesso in quel tedesco sette volte campione del mondo nel momento in cui sale sull’ erba, mentre prende a ruotate la Renault di KubicArnoux, mentre attraverso l’estensione del suo corpo limitativamente chiamato “macchina” lotta per non perdere neanche un centimetro.
Lo sento imprecare in dialetto bolognese mentre Hamilton prende la scia di un Fernando che esce piano dal tornante a causa dello stranomavero primo Buemi. Conosce bene il suo tracciato, sà che li trazione ed accelerazione mancati significano solamente una cosa : essere sorpassati.
Immagino la sua concentrazione nell’ osservare il Live Timing dei tempi, mentre s’informa su che gomme monta questo o quel pilota, mentre cerca di mettere a fuoco una situazione sempre più intricata derivante da coperture chiaramente non all’ altezza del tracciato. Lo sento ridere di fronte all’ ennesimo rientro in pit lane di Petrov, reo di partenze anticipate e collisioni provocate. Sensori annegati nell’ asfalto ? Telemetria ? Galateo ? Tutte cose che non farebbero per lui.
Lo immagino alzare il volume delle cuffie al massimo nell’ inutile tentativo di non sentire il frastuono delle maledizioni lanciate al pomello del cambio nel momento in cui la regia propone l’immagine di quel cambio al volante incredibilmente rapido azionato dalle punte delle dita. Quanti ingranaggi distrutti, quante piaghe, quante bende su quel palmo della mano destra.
Tra l’Ammirato e lo stupito. Cosi lo vedo davanti alla freschezza, alla classe, alla pulizia dimostrata da Hamilton in occasione del solito sorpasso a fine rettilineo ai danni del totalmente in crisi di gomme Webber.
Me lo immagino mentre sbatte sul tavolo ipertecnologico lo stesso pugno agitato per il sorpasso in pitlane.
Un’ altro ostacolo su quattro ruote che si frappone tra la Rossa e il secondo posto, un’ altra mancata accelerazione, un’ altra McLaren pronta ad approffitare del secondo sbaglio dell’ asturiano.
Lo immagino saltare in piedi nel momento in cui Felipe attacca Michael nel vano tentativo di raccattare l’ultimo punto mondiale disponibile per sedersi sconsolato un attimo dopo di fronte all’ ennesimo alettone anteriore da sostituire,al quarto ingresso in pit del brasiliano, all’ennesimo viaggio a vuoto.
Lo immagino salutare Hamilton da sotto il podio, mentre quest’ultimo alza la coppa più grossa salutando il pubblico, con Jenson e Fernando che già pensano al ritorno in quello sterile circuito nato tra le strade del porto dell’ America’s Cup.
Lo immagino alla fine del gp, mentre si aggira tra le macchine del parco chiuso, mentre infila la testa negli abitacoli. Curioso, ammirato. Una sistemata ai capelli, tante mani da stringere, autografi da fare, storie da raccontare.
Oggi avrebbe sessanta anni.
Di lui restano immagini indelebili, stampate nella memoria di chi ha avuto la fortuna di vedere un perfetto sconosciuto proveniente dalle motoslitte canadesi tracciare un solco inossidabile nel mondo della F1.
Di lui restano poster di Autosprint incollati ai muri del mio garage. Conservati come reliquie da quel padre che a mezzo metro dalla televisione incitava con tutto sè stesso il piccolo canadese impegnato a spostare il limite sempre un po’ più in là in un Gp Francese di cui pochi ricordano il vincitore.
Di lui resta una scritta sotto al poster.
“Per Sempre Gilles”
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Molto bello. Talmente bello da postarlo due volte !
Chiedo umilissimo perdono… colpa mia!! 😳
Massì figurati. Ciò non toglie che resta un bel racconto, più conciso del solito. Pierpà lo sappiamo che sei prolisso, però stavolta sei stato abbastaza sintetico! 😀
Con tutto quello che mi è capitato ( 3 pc cambiati in dieci giorni …) è già stato tanto riuscire a scrivere un articolo … ho pure saltato le pause pranzo per scrivere. Non aggiungo altro se non ” Gilles Vive”
Bellissimo articolo, davvero complimenti.