A distanza di una settimana non si è ancora placata l’ondata di rabbia e delusione seguente la disfatta della Peugeot alla 24 ore di Le Mans, lasciando ancora parecchi dubbi e molti interrogativi irrisolti sulle reali motivazioni che hanno portato al ritiro di tutte le vetture francesi.
Le tre Peugeot 908 Hdi ufficiali, la #1 guidata da Gené-Wurz-Davidson, la #2 da Lamy-Bourdais-Pagenaud, la #3 da Montagny-Sarrazin-Minassian e la 908 Hdi del Team Oreca Matmut condotta da Panis-Lapierre-Duval non sono riuscite a vedere la bandiera a scacchi del doppio giro d’orologio, ritirandosi con una preoccupante frequenza iniziata già dalle prime ore di corsa.
La prima Peugeot a salutare la compagnia è stata, dopo nemmeno quattro ore, la #2 di Lamy-Bourdais-Pagenaud in seguito a dei problemi al telaio irrisolvibili sul campo di gara in tempi relativamente brevi, causati dalla delaminazione del telaio che ha comportato il preoccupante cedimento dell’attacco di una sospensione.
Alle prime ore della Domenica, attorno alle sette del mattino, ad essere costretta al ritiro è stata la vettura #3 di Montagny-Sarrazin-Minassian ampiamente al comando della classe LM P1 e, di conseguenza, della classifica generale. La forte fiammata seguita dal fumo uscito dagli scarichi della bancata destra lascia pochi dubbi sulla causa del problema, riscontrabile nella rottura irreversibile del propulsore turbodiesel.
A circa due ore dalla bandiera a scacchi, alle prese con il disperato tentativo di inseguire il duo Audi in vetta alla graduatoria, la 908 Hdi #1 di Gené-Wurz-Davidson accusava una fiammata simile a quella della #2, dalla medesima bancata di destra, costringendo ad un mesto parcheggio Alexander Wurz dopo alcuni stint guidati in modo magistrale.
Con le tre Peugeot ufficiali fuori dai giochi, le residue speranze di salire sul gradino basso del podio erano riverse alla 908 Hdi #4 del Team Oreca Matmut, attardata rispetto alle Audi per alcuni problemi meccanici avuti in mattinata, però a poco più di un’ora dalla fine, una fiammata del tutto similare a quelle delle altre 908 Hdi poneva fine alle ostilità, ponendo il sigillo della certezza al trionfo delle tre Audi.
Sembra davvero un bollettino di guerra, quattro vetture su quattro incapaci di completare la 24 ore, vanificando un intero anno di lavoro, svolto proprio in funzione di bissare il meritato successo del 2009 ottenendo ancor di più, la tripletta sul podio. Lasciando per un attimo perdere la retorica del “chi troppo vuole nulla stringe”, va detto che la 24 ore di Le Mans e, in senso generale, tutte le gare d’endurance, sono prima di tutto delle competizioni basate sulla regolarità dei piloti e sull’affidabilità delle vetture. Certo, senza prestazione velocistica si rimane dei comprimari, però l’endurance impone prima di vedere la bandiera a scacchi e poi di guardare la pura performance sul giro.
I problemi delle Peugeot, riflettendo un’attimo sulla legge dell’endurance che innanzitutto vuole affidabilità ed assenza di errori, vanno ricercati sin dalle prove libere e dalle qualifiche. Potrà apparire strano pensare che, in una gara endurance di 24 ore, siano le prove ad apparire sul banco degli imputati invece, analizzando la rincorsa ossessiva fatta dalle Peugeot al giro più veloce per la Pole Position si riesce a cogliere una sfumatura importante. Difatti, la vettura #2 di Lamy- Bourdais-Pagenaud, con l’occhialuto Sebastien al volante, pecorrendo giri di qualifica a velocità forsennate, aggredendo in modo troppo veemente i cordoli potrebbe aver danneggiato il telaio, dopo aver scavalcato un cordolo con tutte e quattro le ruote. Le vetture LM P1 sono di concezione estrema, molto rigide alla stregua delle monoposto da formula, quindi il saltare con troppa foga sui cordoli, vista la massa di circa 900 chilogrammi, certo bene non fa al complesso telaio-sospensioni, specie in un’ottica improntata all’affidabilità nell’arco delle 24 ore.
L’eccessiva voglia di annichilire gli avversari e le piccole noie sempre possibili in una Le Mans hanno indirettamente contribuito alla debacle delle altre tre “leonesse”, infatti l’aver condotto a ritmi forsennati la gara ha portato a spremere ogni cavallo dal turbodiesel francese, innalzando la pressione del tubocompressore sino ai limiti consentiti dal regolmente tecnico, portando così ad uno stato di sofferenza prima, e di cedimento poi, il dodici cilindri a gasolio.
Le prove che suffragano questa tesi provengono dai resoconti cronometrici dei tempi sul giro, per ampi tratti di gara costantemente di tre-quattro secondi inferiori a quelli fatti segnare dalle Audi R15+ Tdi. I motori a gasolio da competizione sono tanto possenti quanto intrinsecamente delicati, essendo limitati dalle leggi della termodinamica nel salire oltre i 5500 giri al minuto, per ottenere potenza, non potendo innalzare il regime di rotazione, occorre aumentare la coppia motrice, e per far ciò i propulsori necessitano di turbocompressori sempre più prestanti nell’incrementare la pressione dell’aria immessa nei cilindri. Va da se che, girando al limite per diverse ore, i motori a gasolio soffrano per le elevatissime pressioni in gioco, logorando a lungo andare le componenti più disparate, potendo così provocarne il cedimento.
E’ andata a finire così questa 24 ore, con la tripletta delle Audi in versione passista, non velocissime ma regolari e con un’affidabilità molto convincente, rendendo omaggio al vero spirito delle corse di durata, lasciando un intero anno ai francesi per riflettere e far tesoro dell’incubo vissuto lo scorso fine settimana. E’ presto per dirlo, ma le prossime edizioni della 24 ore saranno ancor più incerte e spettacolari, grazie al probabile (ed auspicabile) ritorno in grande stile dei motori a benzina ed all’introduzione delle vetture ibride, staremo a vedere…
Jona Ceciliot
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