Anno 1950, si disputa il primo Campionato del Mondo di Formula 1 che dopo quattro gare, ormai è chiaro, sta diventando un affare di famiglia per le “tre Effe” dell’Alfa Romeo: Luigi Fagioli, Juan Manuel Fangio e Nino Farina.
Mentre si disputano le prove di Spa, quinta gara della stagione compresa la 500 Miglia di Indianapolis alla quale gli europei non partecipano, la classifica recita: Farina (due vittorie sempre col giro più veloce) diciotto punti, Fagioli (due secondi posti) dodici punti, Fangio (una vittoria, col giro più veloce) nove.
E alla fine delle qualifiche non c’è niente di nuovo_: Farina e Fangio staccano la miglior prestazione, Fagioli li affianca in prima fila pagando già 4”, agli altri che non hanno a disposizione l’invincibile Alfetta 158 per i distacchi non serve il cronometro, basta la sveglia: Gigi Villoresi, con la Ferrari 125 e Sommer, con la Talbot Lago T26C privata, sono a dieci secondi, Alberto Ascari, con la nuova Ferrari 275 con il V12 3300 aspirato, addirittura a quindici.
L’Alfetta, nata dodici anni prima, nel 1938, nel reparto della Scuderia Ferrari, sembra imbattibile. Il suo motore, 8 cilindri in linea con compressore volumetrico Roots, progettato da Gioacchino Colombo è stato sviluppato fino ad erogare nell’ultima versione 350 CV. In assetto di gara pesa circa 700 Kg quindi ha un rapporto peso/potenza di 2 Kg/CV che all’epoca è inavvicinabile dalla concorrenza, e Spa Francorchamps, il circuito più veloce del Mondiale, sembra la palestra ideale per esaltare la superiorità delle Alfa Romeo.
Ma c’è chi già pensa alle contromosse per affrancarsi da una simile dittatura tecnica.
Il tallone d’Achille delle invincibili Alfetta è nel loro punto di forza: il motore.
Potentissimo, sì, ma anche assetato: si dice che con 90 litri le Alfetta possano percorrere circa 100 Km. Non è vero.
In realtà il consumo è più ridotto (circa 70 litri /100 Km), ma in un Gran Premio come quello del Belgio, la cui lunghezza sfiora i 500 Km e su un tracciato che vede il motore ai massimi regimi per la gran parte del tempo, le Alfa Romeo dovranno comunque fermarsi a rifornire per due volte.
Per due volte si dovranno fermare, versare nel serbatoio, con le taniche a caduta oltre un centinaio di litri di benzina mentre i meccanici cambieranno le gomme e ripartire.
Perderanno tempo e quel tempo qualcuno già sogna di guadagnarlo alla sua causa.
Per questo Enzo Ferrari sta puntando sul motore aspirato, e per questo Raymond Sommer con la sua Talbot_Lago T26C non è così pessimista sulla linea di partenza.
La T26C è un’evoluzione della monoposto progettata e costruita due anni prima da Anthony Lago, con la precisa idea di sfruttare le doti di consumo ridotto del 6 cilindri in linea 4500cc nei confronti dei motori sovralimentati cui era costretto a rendere quasi 100 CV. L’idea che aveva ispirato il modello si era all’inizio dimostrata poco felice: al debutto nel GP di Montecarlo, Farina con la Maserati 4CLT aveva vinto lo stesso nonostante fosse stato costretto a una fermata per rifornirsi e cambiare le gomme, mentre le Talbot non avevano avuto bisogno di soste intermedie.
Successivamente, però, l’idea di Lago si era affinata, e la sua T26 era diventata non solo una monoposto ma anche, con l’applicazione di semplici parafanghi ciclistici, una vettura per gare endurance.
L’anno prima, infine, la vittoria di Rosier, proprio a Spa, aveva convinto Enzo Ferrari a seguire la stessa strada abbandonando i motori sovralimentati.
C’è da dire però che a Spa, nel ’49, le Alfetta non avevano corso. Dopo la morte di Wimille che aveva seguito quella di Varzi e la tragica malattia di Trossi l’Alfa Romeo si era presa un anno di riflessione ed avevano lasciato spazio alla concorrenza per tutta una stagione.
Poi era ritornata a dominare, come prima.
Anzi, più di prima.
Questa volta Sommer ha un piano: regolare la sua andatura in modo da prendere la testa alla prima fermata delle Alfetta, costringerle ad un recupero e tornare al comando dopo la seconda fermata quando non avrebbero più avuto modo di recuperare il tempo perduto.
L’idea è semplice, ma per metterla in pratica occorre tenere dietro le altre Talbot e la nuova Ferrari 275 di Ascari, che saranno le sue principali avversarie, le Alfetta, nel suo piano non lo riguardano possono solo sconfiggersi da sole.
Al via Fagioli, Villoresi con la Ferrari sovralimentata, Farina e Fangio duellano mentre Raymond Sommer è impegnato da Ascari che scatta bene e lo sopravanza mettendo in crisi il suo piano d’azione.
Sommer si incolla alla coda di Ascari e cerca di non perdere contatto, mentre il ritmo delle tre Alfetta è inavvicinabile, ed al terzo giro, approfittando di un problema ad uno pneumatico che costringe Ascari ad una sosta imprevista, ed a un’indecisione di Villoresi, si installa al quarto posto.
Il suo ritmo è costante, le Alfetta guadagnano, ma non abbastanza.
Al 10° giro cominciano i rifornimenti: si ferma Fangio, e Raymond Sommer passa al terzo posto.
All’11° giro tocca a Farina, e Sommer sul traguardo è secondo dietro a Fagioli che si ferma al 12° passaggio: Raymond Sommer è al comando.
Ai box dell’Alfa Romeo ci sono facce sgomente, Raymond Sommer ha buttato per aria le certezze del team italiano: come avevano previsto Rosier, Ascari, Etancelin erano rimasti dietro ai tre bolidi rossi, ma Sommer ?
Sommer no.
Raymond Sommer li aveva sorpassati.
Rapidamente fanno un calcolo.
Lo ripetono.
Consultano i cronometristi, ma è un calcolo troppo facile per sbagliarlo: entro la prossima sosta, fra il ventunesimo e il ventitreesimo giro, Farina, Fangio e Fagioli lo avranno nuovamente sorpassato, ma Sommer ora ha una macchina più leggera e perderà meno terreno, guadagnerà un maggior margine e non ci sarà più tempo, negli ultimi giri per superarlo di nuovo.
Quel diavolo d’un francese li ha fregati !
Sommer, perfetto nella guida per risparmiare al massimo carburante e soprattutto gomme: perché il suo piano possa avere successo, infatti, le sue coperture Dunlop dovranno resistere il triplo delle Pirelli che montano le Alfa Romeo.
Resiste al comando per quattro giri, Fangio e Farina lo agguantano al sedicesimo passaggio, lui non oppone un’inutile resistenza e loro lo sorpassano.
Hanno rispettivamente solo tre e quattro giri per distanziarlo, prima ne avevano avuti il doppio e lui andava più piano, quindi dopo la prossima fermata Sommer avrà un vantaggio pressoché doppio, una macchina leggera e loro una pesante.
E maledettamente poco tempo per ricominciare tutto da capo.
All’Alfa Romeo ci sono musi sempre più lunghi, il cronometro conferma quello che temevano: Sommer ha un ritmo “costante e più veloce di prima”, le segnalazioni a Farina e Fangio portano l’italiano a staccare più volte il giro veloce, ma gli s’inceppa il cambio e Fangio prende la testa. Fagioli a Masta viene cronometrato a oltre 300 Km/h.
Al ventesimo giro finisce l’incubo per l’Alfa Romeo, Raymond Sommer rientra ai box col motore che borbotta, il suo Gran Premio è finito, ma, incredibile a dirsi, è finito anche, nonostante Fangio, Farina e Fagioli conquistino le prime tre posizioni, il dominio delle Alfetta.
Enzo Ferrari, ormai convinto della bontà della sua intuizione anche grazie alla gara di Sommer, commissiona al suo motorista principe, Aurelio Lampredi, un motore 4500 aspirato che viene denominato con la sigla 375 dalla cilindrata unitaria.
Nel 1951 le nuove Alfetta 159 avranno un serbatoio molto più capiente, un motore più potente (425 CV) grazie al compressore doppio stadio, ma anche più assetato e se il vantaggio sul nuovo aspirato Ferrari è ancora sensibile (circa 75 CV) il consumo quasi doppio riduce il margine in corsa quasi a zero.
Se a Silverstone l’anno dopo Ferrari potrà finalmente sconfiggere l’Alfa Romeo con Froilan Gonzales, e se Alberto Ascari arriverà a contendere a Fangio il titolo fino all’ultima gara, parte del merito va anche all’idea di Raymond Sommer che quella volta, a Spa, ebbe il merito di provarci per primo.
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