Oggi, 11 luglio, sono trentotto anni che è morto Pedro Rodriguez De la Vega, uno dei piloti più veloci della storia dell’automobilismo.
Per Pedro, come per molti altri (non so se vi ho parlato dello svizzero – povero – Silvio Moser che è l’esempio a mio avviso più lampante di tutti) il talento è stato sacrificato alla mancanza delle amicizie “giuste” e delle giuste disponibilità finanziarie degli – allora rarissimi – sponsor.
Perche Pedro Rodriguez, sebbene in misura minore rispetto al fratello Ricardo (lo dice Jo Ramirez che ha speso una vita in F1 e dintorni, io riferisco) era dotato di un talento eccezionale nella guida, particolarmente nelle condizioni di gara in cui il valore dei mezzi si livellava.
Sull’acqua, nei prototipi, a Brands Hatch nel ’70 con la Porsche 917 della Gulf, fece una gara così eccezionale da far esclamare a Chris Amon, rientrato ai box Ferrari:-“Qualcuno vuol dire anche a Pedro che sta piovendo ?”
In F.1 non ebbe la stessa considerazione che nelle ruote coperte, vinse comunque due Gran Premi (Kyalami nel ’67 e Spa nel ’70) e non ebbe mai la possibilità di guidare un macchina davvero competitiva.
Due Gran Premi possono sembrare pochi, ma bisogna anche vedere come e con che cosa si sono vinti.
Quando ha avuto per le mani qualcosa si è fatto sempre ricordare: memorabile il Gran Premio d’Olanda 1971 con il duello bagnato con Jacky Ickx.
Adrenalina pura.
Sono in pochi i piloti che hanno lasciato, a così grande distanza di tempo, e senza aver raggiunto il gotha della Formula 1, un così grande numero di tifosi e di simpatizzanti, non solo in Messico, ma persino in Europa.
Cercate in Internet e vedrete nei Forum più famosi quanti sono i fans di Pedro Rodriguez.
Chi vi scrive queste righe, senza alcun merito particolare se non quello di aver un ricordo bellissimo di quel messicano con il piombo nel piede destro, riceve regolarmente il “Boletin Noticioso” della Scuderia Rodriguez.
Me lo invia Carols Jalife Villalon, autore di un’opera “definitiva” sugli Hermanos Rodriguez, ora disponibile anche in lingua inglese.
E come me sono decine, centinaia, coloro che fra oggi e domani sui Forum di almeno due continenti ricorderanno Pedro, magari solo con il fatto di fermarsi un minuto a pregare per lui.
Il destino quell’11 luglio 1971 ci si mise davvero d’impegno per riunire al Panthéon Espanol di Città del Messico, nella tomba della famiglia Rodriguez, i due fratelli più veloci della storia dell’automobilismo.
Ricardo aspettava da quasi nove anni, ed all’epoca ogni fine settimana poteva essere quello buono, ma quel weekend non era previsto che Pedro gareggiasse.
Decise, dicono le cronache, all’ultimo istante utile per iscriversi a quella gara secondaria.
Lo fece quando aveva già deciso di volare in Messico dal padre che non stava bene
Lo avevano convinto due cose: l’insistenza dell’amico Herbert Muller e il fatto di poter guidare una Ferrari, perchè a Maranello aveva lasciato il cuore.
L’incidente, come quasi tutti allora, non ebbe una spiegazione chiara.
Probabilmente fu il cedimento di una sospensione a tradirlo, il resto lo fece il cemento del Norisring contro il quale si disintegro letteralmente la 512 M rossa, prendendo fuoco.
Anni dopo si è saputo che quella 512 M in una delle ultime gare del Mondiale Marche aveva subito un incidente che forse aveva provocato danni strutturali non evidenziati nel “raddobbo”.
Un testimone raccontò di aver visto fumare intensamente la ruota anteriore sinistra, un attimo prima dell’improvviso scarto contro il muro.
Qualcun altro incolpò un carneade tedesco, un certo Hild, di aver ostacolato Pedro, ma non ci sono mai state prove evidenti.
Fu immediatamente evidente, invece, che non c’era nulla da fare per il povero Pedro.
Herbert Muller ed il suo compagno di tante vittorie, Leo Kinnunen, si ritirarono quasi immediatamente.
La corsa continuò con la pista annerita dal fuoco attorno al relitto dell’ultima Ferrari di Pedro Rodriguez. <!– –>
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Bel ricordo. I Rodriguez sono forti!