A ben vedere le ultime facce corrucciate di Fernando Alonso e di Sebastian Vettel, era ed è stato inevitabile arrivare al “point break” turco. Le due situazioni per quanto diverse nella forma sono simili nella sostanza. “Stress da leadership perduta” sarebbe la diagnosi di un qualsiasi psicologo. Analizzando quella meno evidente e, forse, più politica di Alonso si nota che l’asturiano dal GP turco ha iniziato a mettere le mani avanti. I boriosi proclami di vittoria di inizio stagione hanno lasciato spazio a dichiarazioni prudenti sull’esito del campionato. Se dapprima si lottava per la vittoria, oggi si corre per i punti. Sabato pomeriggio a commento del suo deludente 12° posto in griglia ha detto che il suo non è stato un errore: “non è un errore provare a supplire alla lentezza della macchina con una guida al limite”. Se nelle gare precedenti si era accollato la colpa dei suoi errori stavolta non ha difeso la squadra, puntando il dito iberico sul bolide rosso. Il vestito di salvatore della patria Ferrari inizia a stargli stretto. La F10 con la doppietta del Bahrain aveva illuso. A torto, piloti e tecnici di Maranello, erano convinti di essere al top. Errori del loro campione designato e condizioni meteo avverse ne avevano mimetizzato il reale valore nelle gare asiatiche. Al ritorno in Europa i nuovi step di sviluppo hanno fatto allontanare la Red Bull. Dalla Turchia anche la McLaren ha preso il volo, mentre -di fatto- la rossa è stata affiancata, quasi superata in prestazioni da Mercedes e Renault. La Ferrari concentrata sullo sviluppo dell’ F-duct, probabilmente ha perso il bandolo della matassa in tema di efficienza aerodinamica complessiva, riuscendo si ad essere più veloce in rettilineo ma a perdere costantemente nelle curve. La mancanza di competitività si ripercuote nelle sicurezze del mastino Alonso capace finora, però, di errori a ripetizione. Un Fernando così nervoso non lo si vedeva dai tempi della lotta fratricida con il debuttante Hamilton…la stessa tensione avvertita, recentemente, nelle battaglie, non certo per la vittoria, con i debuttanti Petrov e Di Grassi!!! L’episodio Vettel è lampante nel suo epilogo. Il golden boy della Formula 1, il candidato numero uno alla vittoria finale si ritrova spodestato dal compagno di squadra: il “vecchio” Mark Webber, considerato poche gare orsono una buona seconda guida. Un pilota veloce ma incline all’errore. Oggi di quel pilota non c’è traccia. Da tre gare è mattatore assoluto, in prova e in gara. Ha battuto campioni del mondo (Alonso, Hamilton e Button) e ha logorato i nervi fragili del giovane Vettel. Per un campioncino ambizioso come il tedeschino questo “sorpasso” deve essere stato inaccettabile. Inaccettabile, scoprire che la sua Red Bull, finalmente perfetta (e affidabile), rende di più con una guida pulita, certosina… una guida alla Webber, per intenderci. Il suo stile grintoso che in passato gli ha permesso di vincere pur con monoposto non al top con questa vettura si è rilevato inefficace. Non è una questione di piede ma di stile di guida. Con questo scenario l’unica maniera valida per sopravanzare il compagno di team è la lotta corpo a corpo. Vettel doveva a tutti costi provare a superare l’australiano, e l’ha fatto. Ne valeva la sua autostima in forte calo. Da questo sbaglio ne uscirà rafforzato. Subendo passivamente la maggior efficacia di guida del compagno sarebbe entrato in una depressione letale che l’avrebbe indebolito psicologicamente. E’ stato un attacco disperato, come può esserlo quello ad un compagno di squadra. Ha rovinato la sua gara, quella del compagno e tolto la vetta -meritata- della classifica costruttori al team. Un fallo duro che ha disatteso la regola Red Bull di evitare lotte intestine dopo il l’ultimo cambio gomme. Sarà dura, adesso, per la squadra mantenere l’unità, l’armonia. Ma doveva succedere prima o poi. I due piloti hanno gettato la maschera e correranno per se stessi, ma non si può chiedere altrimenti a chi ha annusato l’odore irresistibile della vittoria.
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Molto veritiero. L’errore in qualifica di Alonso è stato evidente, Massa ha fatto meglio di lui quindi c’era la possibilità di far di più. I tempi di Schumacher son lontani, il tedesco ribadiva sempre “saltiamo in macchina e andiamo a lavorare” ma sotto quelle parole c’era la mano di Todt, leader di massimo rispetto. Cosa che Domenicali non sembra essere, purtroppo.