Momenti di un giorno indimenticabile. Sarà forse vero che questa ultima edizione della 500 Miglia di Indianapolis non è stata all’altezza per i duelli in gara rispetto alle recenti passate edizioni. Magari proprio perchè Hornish e Franchitti, due pietre miliari dello sport motoristico d’oltreoceano a ruote scoperte degli ultimi anni, non ci sono più. Sicuramente in quanto a suspence, la Indy ha regalato domenica scorsa, come del resto è sempre accaduto nelle altre edizioni che si sono disputate dal 1909 fino all’anno passato, uno spettacolo mozzafiato, che mette i brividi anche per chi guarderebbe l’evento senza minimo interesse. Perchè le tradizioni sono tali e vanno rispettate, e la Indy 500 è “la” tradizione dello sport motoristico. Perchè lo scenario pre-gara non è stato da meno rispetto al passato, e quando inizia la gara sale l’andrenalina anche a chi la guarda da casa (figuriamoci i fortunati presenti sugli spalti). Perchè anche quando per misfortune varie, escono i piloti per cui tifi, ti ritrovi lo stesso ad assistere agli ultimi giri, gli ultimi chilometri, miglia pardon, percorsi dai piloti, con un attesa snervante, desideroso di sapere chi alla fine riuscirà a trionfare. Perchè a chi vince spetta l’onore di essere ricordato nell’albo d’oro della prestigiossima gara che vale tanto quanto un campionato mondiale di F1 intero. Perchè Dixon non aveva mai assaggiato il latte dell’Indiana (o forse Chip Ganassi che se lo è scolato per primo dalla contentezza e presumiamo dalla sete anche). Tanti “perchè” ed un solo motivo, una risposta univoca e più che soddisfacente : la 500 miglia di Indianapolis è sempre la 500 Miglia. E’ la storia di una competizione che ha radici più antiche delle stesse corse “europee” moderne, e ciclicamente si ripete ogni anno e riproponendosi con una nuova linfa vitale. In particolar modo come accaduto quest’anno.
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